Di quanto sia complicata la guerra siriana e come sia difficile connettere i fili, le alleanze, le collaborazioni tra gruppi e Paesi apparentemente in guerra tra loro sono pieni i media di tutto il pianeta.
Oggi sappiamo che – al netto della controversia furibonda tra Russia e Turchia – i Paesi occidentali e gli Stati Uniti stanno lavorando con Mosca per individuare una via di uscita allo stallo politico-diplomatico attorno al Paese devastato dalla guerra. L’ipotesi di fondo è quella per la quale per combattere lo Stato islamico ci sarebbe bisogno anche dell’esercito regolare siriano – che è poi la versione russo-siriana. Per questo e per riportare uno straccio di pace in Siria, servirebbe un accordo tra la guerriglia che combatte Assad e il regime stesso che metta anche d’accordo tutti i vari sponsor regionali dei gruppi coinvolti nella guerra (Iran, Arabia Saudita, Turchia sono i più difficili da mettere assieme).
Obama e Putin si sono visti a Parigi e l’incontro, dicono, è stato positivo. Che poi le versioni di cosa si sono detti i due presidenti divergano non è una novità. Il presidente Usa ha detto che la Russia «Comincia ad avere chiaro che il suo intervento non sta ottenendo i risultati sperati» e che contribuirà con più lena al lavoro della coalizione occidentale. Diplomatici russi hanno detto che l’incontro è andato bene e che la direzione nella quale occorre muoversi è chiara. Loro colleghi americani giurano che Washington insiste sulla necessità che Assad lasci. Obama ha anche chiesto a Russia e Turchia di mettere da parte le loro animosità per cooperare nella lotta contro l’ISIS.
E’ in questo contesto confuso che il governo tedesco oggi annuncia il suo piano di intervento in Siria – aerei da ricognizione, una nave, 1200 uomini con regole di ingaggio che non prevedono il combattimento – e la Camera dei Comuni, domani, vota sulla partecipazione britannica ai raid a sostegno della richiesta francese.
Per capire quanto il tentativo di far funzionare le cose sia complicato, occorre guardare anche a quanto succede sul terreno: chi e come combatte l’IS e quanti sono gli intrecci economici e militari?
Il Financial Times sta pubblicando una serie di inchieste dal titolo Inside Isis Inc. nelle quali si raccontano le modalità di finanziamento dello Stati islamico (un lavoro che abbiamo tentato anche noi sul numero 45). Nelle sue inchieste il quotidiano ricostruisce il traffico di petrolio e quello di armi e munizioni. In entrambi i casi, quel che salta agli occhi, è la connessione, qui e la, con il regime di Assad: «E’ un po’ come i negoziati tra clan mafiosi nella Chicago degli anni ’20: ci si combatte per alzare la posta e influenzare gli accordi che si prendono, ma il fatto di combattersi non li fa saltare» ha detto una delle persone coinvolte nei traffici al quotidiano londinese.
I combattenti di Isis si basano sul triplo conflitto nel quale sono coinvolti ed è in questo intreccio che si inseriscono i trafficanti di armi. «Potevamo comprare dal regime, dagli iracheni, dai ribelli – e se potessimo acquistare dagli israeliani, non sarebbe un problema l’importante è avere armi da vendere» ha detto Abu Omar, uno dei commercianti che hanno parlato con il Financial Times. Quanto al petrolio, lo scorso giugno il ministro degli Esteri francese Fabius, disse mesi fa durante una conferenza stampa a New Delhi, di avere le prove che «ISIS venda petrolio al regime di Damasco».
Una delle conferme di queste transazioni è l’inclusione in un lista di persone con le quali è vietato fare affari del Dipartimento del Tesoro di George Haswani, uomo d’affari cristiano ortodosso siriano padrone della HESCO, Engineering and Construction Company con doppia cittadinanza – ha anche un passaporto russo. La sua società lavora anche per la Stroytransgaz, già sussidiaria di Gazprom, che dal 2006 è una controllata di Rosneftegaz, la compagnia pubblica di estrazione. Haswani è sposato con una alawita che sarebbe uno dei collegamenti con il regime di Damasco.
Il suo nome circolò nel 2014 quando si fece mediatore con al Nusra, ottenendo la liberazione di 13 suore rapite. Haswani è accusato di essere il tramite negli scambi tra petrolio e soldi in contanti tra ISIS e Damasco. Con Daesh, Haswani gestirebbe congiuntamente una raffineria a Taqba, dove nel 2014 si è svolta una battaglia furibonda tra ISIS e forze armate siriane attorno a una base aerea. La sua inclusione nella lista del Dipartimento del Tesoro – dopo che già l’Europa lo aveva incluso in una lista simile – è una delle ennesime prove di come la partita siriana sia complicata.
Sono decine le fonti di intelligence citate dai media occidentali e dell’opposizione siriana – e che quindi, certo, vanno presi con le molle, essendo parte in causa – che segnalano come il legame economico tra IS e Assad sia stretto e come la strategia siriana sia stata quella di mostrare un volto pubblico anti Daesh mentre di fatto ne incoraggia la crescita in maniera da presentarsi come unica alternativa sicura e al contempo ridiventare interlocutore dell’Occidente. A questa partita partecipa in maniera indiretta anche la Russia, accusata dagli Usa e non solo di usare la propria forza aerea per sostenere le truppe di Damasco contro i ribelli – e di non dirigere gli attacchi contro l’IS.