Matteo Renzi ha già cominciato la sua versione di campagna per il voto utile alle amministrative del prossimo giugno. O almeno così gli fanno dire i cronisti che lo seguono più da vicino. Nel pezzo di Maria Teresa Meli sul Corriere, ad esempio, il virgolettato assegnato al premier è il seguente: «La sinistra gioca a farci perdere. Noi abbiamo detto di sì a Zedda, e a Milano lanciamo primarie vere aperte a tutti, ma loro sostengono de Magistris a Napoli, si contrappongono al Pd a Roma con Fassina». Renzi vuole così evocare lo scenario ligure, dove la rottura del centrosinistra – secondo palazzo Chigi – con la candidatura del civatiano Luca Pastorino (che si è avvicinato al 10 per cento, voti che secondo noi difficilmente sarebbero in realtà andati al Pd), avrebbe favorito la vittoria di Toti. «Insomma», dice Renzi, «noi non vogliamo rompere, sia chiaro che se rottura sarà, la responsabilità è loro, non nostra». La rottura, e ogni eventuale sconfitta, si intende.
La realtà è però un po’ diversa. Ed è forse utile fare un breve punto sulle manovre nel centrosinistra in vista delle amministrative.
Partiamo da Napoli. Lì la sinistra – tutta – sosterrà la ricandidatura di Luigi de Magistris. Ma lì la spaccatura del centrosinistra è realtà da anni, ormai, anche se solo il tardivo ingresso di Sel nella giunta comunale di De Magistris ha ricompattato il fronte delle sinistre. Le distanze programmatiche sono molte, l’opposizione che il Pd fa al sindaco è dura, e le alleanze immaginate incompatibili. Che la rottura non sia tutta responsabilità di de Magistris&Co. è facilmente comprensibile guardando le sigle che hanno firmato il patto di coalizione e per le primarie organizzate attorno al Pd. La coalizione immaginata dal partito di Matteo Renzi è la seguente: Pd, Psi, Verdi, Scelta Civica, Idv, Repubblicani democratici, Centro democratico e Udc. Più, come da polemiche, il Nuovo centro destra di Angelino Alfano. Chi, dunque, a Napoli, ha rotto con chi?
Diversa e più complicata è sì la situazione di Bologna. Lì la stessa Sel è spaccata, con un pezzo rimasto fedele al sindaco uscente Merola e un pezzo che sta cercando di costruire una lista civica con Civati e pezzi più o meno organizzati della sinistra cittadina. Un po’ è la caduta sulla città delle dinamiche nazionali – punto questo molto caro a Civati, che infatti vuole rompere ovunque – un po’ è l’effetto di una torsione recente della giunta Merola. Sgomberi e opere pubbliche sono punti di attrito.
A Milano, poi, la situazione è la seguente. Anche a costo di litigare con Civati, Sel ha firmato l’accordo di massima sulle primarie (originariamente convocate per il 7 febbraio). Secondo il partito coordinato da Nicola Fratoianni, lì – e nell’annunciato sostegno all’assessore Pierfrancesco Majorino – ci sarebbe tutta la buona intenzione di una parte della sinistra nel non disperdere l’esperienza di Giuliano Pisapia. Il sindaco uscente però non si candida – come noto – e alle primarie pare proprio che finirà col partecipare anche il commissario Expo Giuseppe Sala. Sala è uomo da partito della Nazione, e non a caso fu nominato city manager dal sindaco Moratti. Fratoianni oggi dice: «Noi non siamo come Civati che vuole per forza competere contro il Pd, ma a Roma, Bologna, Torino e Napoli andiamo per conto nostro. E anche a Milano, se Sala si candida, perché se accettassimo il vincolo delle primarie e poi lui vincesse saremmo costretti ad appoggiarlo e questo non lo possiamo fare». Rompe la sinistra o il Pd che tira dentro la coalizione – pur in maniera meno evidente – pezzi del centrodestra?
Più sfumata è la questione di Torino. Il cammino di Piero Fassino era cominciato con una coalizione di centrosinistra, sì, ma il rapporto con l’ala sinistra si è quasi subito rovinato. Fassino, poi, non è ancora certo di correre. La candidatura su cui si sono trovati d’accordo Sel, Civati, gli altri pezzi della sinistra e l’area cittadina che gravita intorno alla Fiom e ad alcune associazioni di volontariato, è invece una candidatura di un certo peso, in città: l’ex sindacalista e deputato Giorgio Airaudo.
A Roma, infine, la rottura è frutto del ruolo attivo del Pd nella crisi della giunta Marino. È difficile negare che sia così. E se già non fossero bastate le inchieste e gli esiti a lungo termine delle passate amministrazioni, a sinistra si fa una certa fatica a incontrare qualcuno che dica di voler governare con il Pd. C’è l’incongruenza del governo regionale, è vero, dove la maggioranza è quella di un tempo, ma è la figura di Nicola Zingaretti (e forse una buona dose di poltrone) che tiene insieme i cocci. A sinistra è partita la candidatura di Stefano Fassina che è in campo, ha cominciato a girare le periferie, e pochi gli credono quando dice (a Left) che la sua candidatura sarà «sottoposta al processo di costruzione della rete». Su Roma Renzi ha comunque gioco facile a rompere il piccolo fronte della sinistra, perché il fronte è il primo ad esser diviso. La candidatura di Fassina, infatti, non piace a Civati, che tra il radicale Riccardo Magi e il sogno di Walter Tocci, sta cercando un’altra candidatura. Una spaccatura sarebbe un argomento perfetto per le teorie del premier.