È stata un’altra intensa notte di negoziati a porte chiuse quella appena trascorsa alla Cop21 di Parigi. Dopo una prima bozza di accordo circolata nei giorni scorsi, ieri sera il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, che coordina i lavori della Conferenza delle parti , ha presentato una nuova bozza – la Versione 2 datata 10 dicembre ore 21 – spiegando che le trattative sono vicine alla meta e dicendosi ottimista sulla possibilità di presentare oggi stesso in plenaria «il progetto finale di testo dell’accordo». Intanto ambientalisti e Ong protestano per la piega al ribasso che stanno prendendo le trattative, la cui conclusione era prevista per oggi ma che potrebbero protrarsi.
La nuova bozza vede ridursi i punti di disaccordo, ma restano aperte ancora alcune importanti questioni. Partiamo da quella relativa al mantenimento dell’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali: i Paesi insulari e quelli con una posizione più avanzata chiedono che il limite al riscaldamento sia contenuto entro i +1,5 gradi (per il perseguimento di questo obiettivo si è anche parlato di un “patto segreto” che coinvolge Usa e Ue). Le 27 pagine del secondo documento adottano però una formula che tiene dentro entrambe le posizioni, affermando che i Paesi devono fare in modo di mantenere l’aumento di temperatura ben al di sotto i 2 gradi e sforzandosi di arrivare anche sotto i +1,5, riconoscendo che questo secondo risultato ridurrebbe drasticamente i rischi legati al global warming. E tenuto conto che attualmente siamo già a +1 grado, gli impegni volontari e le prescrizioni contenute nella bozza potrebbero portarci a un aumento di temperatura anche superiore ai 3 gradi.
I Paesi cosiddetti sviluppati, tra cui Usa e Australia, insistono affinché l’accordo porti a un sistema univoco di rendicontazione della quantità di emissioni “climalteranti”, con revisioni periodiche degli impegni nazionali. Troppo avanti nel tempo, secondo il fronte ambientalista, la previsione di un primo step di revisione degli impegni nazionali al 2023. Un nodo irrisolto, in questo caso, è che i Paesi in via di sviluppo vogliono mantenere invece la divisione introdotta nel 1992 tra le esigenze di Paesi ricchi e Paesi poveri.
Il disaccordo tra “ricchi” e “poveri” si è palesato anche in relazione agli standard di rendicontazione e verifica degli impegni assunti, con i Paesi ricchi che tentano di ottenere che quelli poveri effettuino controlli più severi sulla effettiva riduzione delle emissioni. Per la seconda volta, poi, con il forte disappunto espresso dall’Europa il trasporto aereo e quello marittimo – responsabili di circa il 5% delle emissioni globali, ma in rapida ascesa – sono stati lasciati fuori dalle prescrizioni dell’accordo e difficilmente potranno rientrare in extremis.
Ma la Cop21 non sfugge al principio per cui è il denaro la leva che spinge ad assumere posizioni più o meno favorevoli a una riduzione delle emissioni di gas serra. I Paesi in via di sviluppo chiedono con insistenza che l’accordo stabilisca nel dettaglio a quanti aiuti finanziari potranno accedere per il loro impegno a rinunciare a inquinare. Una rinuncia che potrebbe valere loro 100 miliardi di dollari l’anno di fondi pubblici e privati dal 2020. I fondi arrivati a destinazione finora però sono di gran lunga inferiori a quelli promessi. Su questo punto Tim Gore di Oxfam ha manifestato ottimismo, perché i Paesi ricchi si sono detti disponibili ad aumentare la loro quota di stanziamenti.
Adriano Campolina di ActionAid parla di un draft che nega la giustizia globale perché nega la possibilità di richieste di indennizzi e azioni di responsabilità a carico degli inquinatori inadempienti. A suo avviso la bozza di accordo «non affronta la realtà del cambiamento climatico e servirà soltanto ad allargare il divario tra ricchi e popoli». Insomma, mentre politica e governi si preparano a celebrare, come nelle precedenti Cop, gli “importanti passi avanti” del vertice di Parigi, la società civile è compatta nel contestare l’esito che si va profilando e nel ritenere che potremmo trovarci davanti a un accordo tutt’altro che risolutivo. Non resta che sperare che la versione finale del “Paris outcome” – così è stato ribattezzato il testo che potrebbe essere sottoposto oggi all’assemblea della Cop21 – dia ragione ai primi e contraddica il pessimismo dei secondi.
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