Dragogna (Slovenia) – Rafael, 6 anni, appende alcune palline colorate al filo spinato che una settimana fa è stato dispiegato a Dragogna, in Slovenia, lungo il valico con la Croazia. Una barriera ad altezza uomo, un’immagine brutale di separazione che peraltro, a guardarne la struttura forse oltrepassabile, convince poco e lascia qualche ombra sul suo significato politico.
«Mio figlio spera che così gli animali vedano le palline e non si facciano male. Il filo in questi giorni ha causato la morte di diversi cervi e caprioli -spiega Alexandra, la madre di Rafael – Sembra di vedere le immagini di un campo di concentramento. Tra gli abitanti qui nessuno è d’accordo. Non possiamo pensare di bloccare le persone che vivono dei drammi. E io lo dico sempre, oggi a loro, domani può capitare a noi».
Poco lontano il papà Roberto, padre italiano e madre slovena, appende un cartello “Tudi tukaj je Eu?” (anche qui è Eu?). «In Europa molte persone sono morte per unire i popoli e ora mettiamo una chiusura? Questo è disunire!», dice a Left.
La famiglia Vizintin vive a 6 km dal confine e sta prendendo parte a una protesta che coinvolge qualche centinaio di manifestanti sloveni, croati e italiani. Stanno attraversano i campi per avvicinarsi al fiume Dragogna, lungo il quale è stata posizionata la rete di metallo e dove gli atleti olimpici stanno giocando a pallavolo, passando la palla da una parte all’altra.
Nei giorni scorsi, il malcontento è stato sollevato da buona parte dei sindaci istriani e italiani, ma anche da diversi direttori di musei sloveni e croati che hanno scritto una lettera a Miro Cerar, autore della trovata. Il premier sloveno si dice preoccupato per la sicurezza del suo paese e promette di togliere “gli ostacoli tecnici” – in tutto il Paese il reticolato, che servirebbe a far confluire i migranti in punti precisi, ha raggiunto ormai i 140 km- non appena l’emergenza sarà terminata. Ma, al di là dell’insensatezza e della disumanità del filo spinato, esiste davvero questo flusso di migranti? La risata dell’oste della vicina trattoria è la risposta emblematica. «Qui di migranti non se ne vedono proprio!», la rotta balcanica sta seguendo altre vie, più a est.
Nel giro di due ore l’oggetto della protesta si è trasformato: vicino alle palline colorate di Rafael, ora sono apparsi disegni, poesie, brani di canzoni e peluche, segno che forse si è sottovalutata la possibile reazione di una terra che di divisioni ne ha vissute già abbastanza.
Tutte le foto sono state scattate da Marisa Ulcigrai