Il colore e la nuova visione pittorica di Van Gogh a Verona
Arrivano dal Kroller Muller Museum, un suggestivo (ma non facilmente accessibile) museo che sorge nella campagna olandese i capolavori che punteggiano la mostra Seurat, Van Gogh Mondrian, aperta fino al 13 marzo 2015 al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Sono opere di Signac come La sala da pranzo e di Seurat come la celebre Domenica a Port-en-Bessin del 1888.
A fine Ottocento i due artisti francesi tentarono di andare oltre l’impressionismo, adottando una tecnica particolare come il pointillisme, (detto anche divisionismo ), basata su raffinato studio dei rapporti fra luce e colore e che permetteva di sfaldare la visione nitida e razionale della realtà. In Francia, con i post impressionisti, ma soprattutto con la visione onirica e deformante di Cézanne, aveva preso vita un rinnovamento radicale della tradizione pittorica occidentale da secoli naturalistica e improntata alla mimesis. Fu poi soprattutto con Van Gogh che la pittura divenne ricerca di una visione che non aveva nulla a che fare con quella retinica, piatta e razionale. Come racconta Stefano Zuffi nel catalogo 24 Ore Cultura che accompagna la mostra, in quei dolorosi e concitati anni trascorsi in Francia il pittore olandese“riuscì a infondere alle pennellate un’inedita drammaticità, una forza profonda capace di imprimere forti emozioni sulla tela“.
A testimoniarlo in mostra ci sono opere di Vincent van Gogh come l‘autoritratto qui pubblicato in apertura, Il seminatore e Paesaggio con fasci di grano e luna. Nel volgere di pochi decenni, queste premesse portavano alla rivoluzione radicale della pittura che, dopo l’esperienza cubista degli ani Dieci del Novecento, avrebbe preso la strada dell’astrattismo, con Malevich, Kandinsky e con Mondrian che cominciò dopo la guerra a suddividere il campo della tela in riquadri di colore. Dell’artista sono in mostra quattro opere realizzate a partire dal 1913 , fra le quali, Composizione n. IÌ e Composizione a colori B, e Composizione con rosso, giallo e blù.
Orari della mostra durante le feste: 24 dicembre: 9.30 – 17.30, 25 dicembre: 14.30 – 19.30, 26 dicembre: 9.30 – 19.30, 28 dicembre: 9.30 – 19.30, 31 dicembre: 9.30 – 17.30, 1 gennaio: 12.30 – 19.30.
La Polinesia di Gauguin a Milano
L’apertura del Museo delle culture (Mudec) a Milano è stato uno degli eventi più interessanti dell’anno e che fa avvicinare Milano a Parigi, dove il Musée du quai Branly, non ospita soltanto mostre di arte africana, asiatica e di altri Paesi che per anni sono stati esclusi dal sistema internazionale dell’arte, ma offre anche approfondimenti storici, antropologici e in senso ampio multidisciplinari. In un contesto museale che si propone dunque uno sguardo multiculturale sull’arte si colloca la mostra milanese Gauguin. Racconti dal Paradiso esplorando il percorso che ha condotto questo importante pittore del secondo Ottocento alla scoperta delle culture tribali oceaniche. La mostra del Mudec ricostruisce l’itinerario geografico e artistico di Gauguin attraverso 70 opere, provenienti da diversi musei e collezioni private internazionali, intercalandole con oggetti di artigianato, foto e documenti dei luoghi che il pittore vistò durante i suoi viaggi dall’Europa alla Polinesia.
Questa mostra, in particolare, indaga le fonti figurative di Gauguin, che vanno dall’arte popolare della Bretagna francese all’arte dell’antico Egitto, da quella peruviana delle culture inca alla cambogiana e alla javanese, fino ad arrivare all’arte, alla vita e alla cultura della Polinesia. Dopo una fase iniziale della propria carriera a Parigi e in Bretagna, alla ricerca di un modo più libero di vivere e a dimensione umana, Gauguin partì per Panama, per poi arrivare fino in Martinica. Il rientro in Francia poi gli fu insopportabile e decise di ripartire per Tahiti e qui, cercò di integrarsi alla vita indigena. “Il mondo colorato e primitivo che incontrò influenzò profondamente la sua arte, che si evolse dall’impressionismo al sintetismo”, spiegano i curatori. Gauguin diventò, così, precursore del fauvismo e ispirò, in seguito, sia l’espressionismo tedesco che il cubismo, con il suo interesse per l’arte africana e dei popoli primitivi”.
La mostra è aperta fino al 21 febbraio e accompagnata da un catalogo edito da 24 Ore Cultura. Durante le feste il Mudec è aperto: il 24 dicembre, dalle 9,30 alle 14, il 25, dalle 14,30 alle 19.30, il 26 dalle 9,30 alle 22,30, il 31 dicembre dalle 9,30 alle 14 e il primo gennaio dalle 14,30 alle 19,30.
La fantasia di Matisse a Torino
Ha rivoluzionato l’uso del colore, rendendolo un potente elemento espressivo, con il novimento dei Fauves, poi si è interessato al cubismo, pur fra molte riserve, sentendolo come un tentativo troppo freddo e geometrizzante di rappresentare una realtà intima e profonda. Per questo Henri Matisse prefriva la deformazione onirica della figura, cercava un modo morbido per rappresentare e una visione che non fosse freddamente razionale. L’originalità della sua pittura e la sua inesausta voglia di sperimentare, che lo accompagnò fino alla morte, sono raccontate nella mostra Matisse e il suo tempo in Palazzo Chiablese, a Torino, fino al 15 maggio. Realizzata da Arthemisia group con 24 Ore Cultura ( che pubblica il catalogo) la mostra ripercorre tutte le fasi del percorso di Mastisse, dagli esordi tardivi nell’atelier di Moreau, dopo aver fatto studi di legge, al periodo selvaggio della forza espressionista del colore con il Fauves e poi la dialettica con il cubismo e in particolare con Picasso di cui fu per tutta la vita amico e rivale in un gioco di emulazione reciproca che vide La gioia di vivere di Picasso nascere per una “ripicca” cercando di imitare quella di Matisse. E poi ecco il fiorente periodo di Nizza, i ritratti di donna in un interno, le sperimentazioni con l’arabesque e l’immaginario orientale delle odalische, dopo numerosi viaggi in Tunisia e in Marocco.
Infine gli ultimi anni in cui, con i cut-outs Matisse arriva a realizzare le prime “installazioni” ambientali cercando si superare la separazione fra architettura e pittura. L’esposizione presenta 50 opere di Matisse e altre 47 di artisti come Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Mirò e molti altri; davvero imperdibile.
Ecco gli orari durante le feste : 24 dicembre: 9:30 – 17:30, 25 dicembre: 14:30 – 19:30, 26 dicembre: 9:30 – 19:30, 31 dicembre: 9:30 – 17:30, 1 gennaio: 14:30 – 19:30, 6 gennaio: 9:30 – 19:30
Gli amanti di Chagall a Brescia
Fino al 15 febbraio la mostra Marc Chagall. Anni russi 1907-1924 racconta gli anni precedenti la diaspora dell’artista che poi si sarebbe trasferito a Parigi. Nel Museo di Santa Giulia a Brescia la mostra curata dalla russa Eugenia Petrova, direttrice del Museo di Stato, permette così di conoscere più da vicino la formazione di questo poetico e visionario artista, a cui Dario Fo offre un personale omaggio attraverso i suoi colorati disegni e bozzetti per il teatro. Un ommaggio sorprendente da parte del premio Nobel per la letteratura, commediografo, scrittore, ma anche pittore da sempre appassionato del mondo immaginifico e surreale di Chagall.
Il percorso espositivo comincia da alcuni stralci tratti dalla autobiografia di Chagall, Ma Vie, scritta tra il 1921 e il 1922, per alla fine sfociare nel racconto di Dario Fo che dialoga cone le tele del pittore russo di origini ebraiche attraverso testi llustrati da disegni e dipinti, creati per quasta mostra di Brescia. Il nucleo di opere di Chagall esposte in Santa Giulia è composto da 17 dipinti e 16 disegni oltre a due taccuini – con disegni e poesie che sono stati ritrovati di recente e qui vengono per la prima volta esposti al pubblico. Risalgono al periodo fra il 1907 al 1924, quando l’artista originario di Vitebsk (Paese che viene evocato come una memoria antica in molti quadri di Chagall) va prima prima a San Pietroburgo per studiare all’Accademia Russa di Belle Arti e poi nella capitale francese, dove conosce gli artisti di Montparnasse, che diventerà la sua casa, dal 1924 quando si trasferirà definitivamente a Parigi con la moglie Bella. Fra i capolavori in mostra, oltre alla Veduta dalla finestra a Vitebsk del 1908, Gli Amanti in blu del 1914, la Passeggiata del 1917-1918, l’Ebreo in rosa del 1915 e molti altri. La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Gamm Giunti, vivrà un evento evento speciale il 16 gennaio quando Dario Fo, che ha realizzato ben 20 dipinti accompagnati da 15 bozzetti preparatori, racconterà l’arte e la vita a di Marc Chagall al Teatro Grande di Brescia.
Scandalosa Tamara de Lempicka, A Verona
Le seducenti figure femminili dipinte dalla pittrice russa Tamara de Lempicka sfilano in Palazzo Forti a Verona sede di AMO, museo Arena. Fino al 31 gennaio ci si può tuffare nel mondo scintillante di questa artista che è stata protagonista delle avanguardie del primo Novecento e musa di molti pittori. Proprio grazie all’arte e al successo che i suoi quadri ebbero a Parigi, la bella Tamara poté emarnciparsi dalle catene del matrimonio che le aveva fruttato tuttavia un nome nobiliare; libera e disinvolta, diventò un personaggio molto conosciuto delle folli notti parigine per poi trasferirsi Oltreoaceano andando a vivere a Beverly Hills nella grande villa coloniale di King Vidor progettata dall’architetto Wallace Nef e poi a New York.
In palazzo Forti è la celebre Ragazza in verde, proveniente dal Pompidou di Parigi, ad accogliere il visitatore all’ingresso, poi il percorso si snoda per linee tematiche ripercorrendo tutta la parabola dell’artista dal 1916 l’anno del suo matrimonio a San Pietroburgo al 1980 l’anno della morte a Cuernavaca.
Nelle sale di Palazzo Forti s’incontrano gli acquerelli del periodo russo, la ritrattistica degli anni Venti, le opere di moda, dedicate al tema delle mani, i molteplici ritratti della figlia Kizette e poi le decorazioni in stile Decò, i nudi maschili e femminili, i dipinti trasgressivi che alludono a relazioni saffiche. Questa esposizione, curata da Gioia Mori e il catalogo 24 Ore Cultura permettono di conoscere più da vicino dunque la personalità di questa artista che ebbe grande successo grazie a questi ritratti scultorei, di donne avvenenti che ai nostri occhi forse appaiono troppo seriali, standardizzando il proprio auto ritratto. Indubbiamente, però, Tamara seppe sfidare le convenzioni del suo tempo e con il suo scintillante immaginario pittorico contribuì al rinnovamento del costume e alla conquista di maggiori libertà per le donne.
Durante le feste la msotra è aperta con i seguenti orari: 24 dicembre: 9.30 – 17.30, 25 dicembre: 14.30 – 19.30, 26 dicembre: 9.30 – 19.30, 28 dicembre: 9.30 – 19.30, 31 dicembre: 9.30 – 17.30, 1 gennaio: 12.30 – 19.30. Acquistando il biglietto della mostra Tamara de lempicka, si ottiene uno sconto per vedere Seurat, Van Gogh, Mondrian, in Palazzo della Gran Guardia, a Verona.
Dürer, Raffaello, Leonardo. I tesori del museo di Budapest a Milano
Ad attrarre lo sguardo, appena varcata la soglia della mostra Da Raffaello a Schiele in Palazzo Reale a Milano è un ritratto di giovane uomo. L’espressione vagamente malinconica, il sorriso appena accennato, mentre guarda lontano, fuori dal quadro. Per secoli gli studiosi hanno cercato di risolvere l’enigma della sua attribuzione. In questa collana di 76 capolavori provenienti dal Museo di belle arti di Budapest questo ritratto che fu terminato intorno al 1510 è esposto come opera di Albrecht Dürer. All’epoca il maestro di Norimberga era già stato due volte in Italia e la sua visione nervosa, viva e inquieta aveva perso rigidità e ora appariva riscaldata da una nuova tavolozza mutuata dai maestri del colorismo veneto. Il rosso dello sfondo, il colore ambrato del volto paiono rimandare direttamente a un coté veneziano. Ma la pelliccia e l’elaborato copricapo evocano un’ambientazione nordica, facendo ipotizzare che si tratti del fratello dell’artista.
A ben vedere, però, come per i misteriosi ritratti di Giorgione, poco importa quale fosse la sua vera identità. Conta la sua presenza viva, come fosse qui e ora, con tutto il suo mondo interiore. Ed è questo che ci ha fatto sostare a lungo, nonostante il richiamo, poco oltre, di opere raramente esposte fuori dall’Ungheria, come la celeberrima Madonna Esterhazy: capolavoro di dolcezza, in cui Raffaello pur mentendo la statica composizione prevista dal canone ecclesiastico, sulla strada aperta da Leonardo lascia intravedere la dinamica degli affetti che legano la giovane Madonna il bambino e il piccolo San Giovanni. Un nesso esplicitato dal curatore Stefano Zuffi che le affianca un espressivo disegno di Leonardo, uno schizzo realizzato per La battaglia di Anghiari.
L’affresco realizzato dal vinciano in Palazzo della Signoria e andato irrimediabilmente perduto. Il viaggio nella pittura italiana, di cui il Museo di Budapest è ricchissimo, continua poi con ritratti di Tiziano, Veronese e Tintoretto. Ma tantissime sono le opere esposte in questa mostra (accompagnata da catalogo Skira) che varrebbero un pezzo a sé. In poco spazio possiamo solo accennare alla Salomé di Cranach, interprete delle novità luterane, che la immaginò vestita come una donna della nuova, ricca, borghesia tedesca. E ci sarebbe anche molto da dire sulla parte della mostra dedicata all’800 in cui spiccano il Buffet del 1877 di Cézanne e la Donna con ventaglio (1862), ovvero la moglie di Baudelaire che Manet dipinse come una inquietante bambola di cera Per continuare la visita c’è tempo fino al 7 febbraio Durante le feste, orari: 24 dicembre 9.30 – 14.30, 25 dicembre 14.30 – 18.30, 26 dicembre 9.30 – 22.30, 31 dicembre 9.30 – 14.30, primo gennaio 14.30 – 19.30.
La grazia di Raffaello alla Reggia di Venaria
Il fulcro della mostra è costituito da un nucleo di celebri capolavori di Raffaello, che evocano il racconto della sua prodigiosa carriera artistica, le persone che ha conosciuto, le diverse città dove ha vissuto. A documentare gli anni della sua formazione è una scelta di opere dei maestri che hanno avuto un ruolo fondamentale, vale a dire il padre Giovanni Santi, il Perugino, il Pinturicchio e Luca Signorelli. La mostra intende accostarsi alla geniale personalità di Raffaello anche da un punto di vista inconsueto e imprevedibile, vale a dire illustrando il suo impegno creativo verso le cosiddette “arti applicate”, che tradussero nelle rispettive tecniche suoi cartoni e disegni nonché incisioni tratte dalla sua opera, e che nel corso del Cinque e Seicento costituirono il veicolo privilegiato per la diffusione e la conoscenza in Italia e nel resto d’Europa delle invenzioni figurative dell’Urbinate: arazzi, maioliche, monete, cristalli di rocca, placchette, smalti, vetri, armature, intagli. Per le richieste di prestito delle opere sono coinvolte le più importanti istituzioni museali italiane e straniere come i Musei Vaticani, il Residenzschloss di Dresda, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Victoria and Albert Museum di Londra, la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, gli Uffizi, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, il Museo Nazionale del Bargello e il Palazzo Corsini di Firenze, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, i Musei Civici di Pesaro e il Museo di Capodimonte di Napoli.
Il visionario El Greco a Treviso
“Il Cubismo ha origini spagnole ed io sono il suo inventore. Dobbiamo cercare le influenze spagnole in Cézanne e osservare l’influenza di El Greco nella sua opera. Nessun pittore veneziano eccetto El Greco realizzava costruzioni cubiste“. Parola di Picasso. Che andando alla ricerca di forme nuove per rappresentare in pittura una realtà più profonda, che non fosse quella piatta, razionale e oggettiva, si mise a studiare le figure allungate e deformate dipinte da El Greco, nel secondo ‘500. Traendo ispirazione dalle sue bizzarre e ardite composizioni sacre per andare oltre i canoni imposti dalla mimesis e da una secolare tradizione che faceva della copia dal vero l’eccellenza in arte. Ritroviamo ora quella celebre affermazione di Picasso a Treviso, a fare da esergo alla mostra El Greco in Italia, metamorfosi di un genio che Lionello Puppi ha curato negli spazi espositivi della Casa dei Carraresi (fino al 10 aprile. Catalogo Skira). Organizzata da Kornice, la mostra si basa sui lunghi anni di studio che il professore emerito di Ca’ Foscari ha dedicato al pittore di origini cretesi e legato alla tradizione bizantina, che prima di stabilirsi in Spagna, si formò a Venezia, facendo proprio il colorismo della pittura veneta e il suo impianto fortemente teatrale.
Come si può vedere dal confronto dal vivo che si dipana nelle quattro sezioni della mostra. In cui opere come il San Francesco riceve le Stimmate (1525 ca.) di Tiziano è a confronto con il più maturo San Francesco di El Greco, che ne ricalca quasi i gesti, ma essendo immerso in un paesaggio irreale, che ha perso ogni connotazione naturalistica. Mentre la gigantesca e incombente Croce sembra franare. Già qui si può cogliere la vena di sotterranea eterodossia che attraversa tutte le pale sacre di El Greco che sembrano percorse da una spiritualità tormentata, ma che di fatto rispettano pochissimo i canoni imposti dalla Chiesa. Il pittore cretese mette al centro l’umano, anche quando si tratta di rappresentazioni di santi e del figlio di Dio. La mostra trevigiana sottolinea la radice popolare della sua arte che lo avvicina a pittori come Bassano e poi, come accennavamo, l’impianto teatrale delle sue composizioni assonanti in questo con quelle di Veronese. Per quanto l’ardente e tenebrosa tavolozza di El Greco (in cui guizzano gialli e verdi acidi) sia quanto di più lontano si possa immaginare dal raffinato tonalismo del laico e solare Veronese. Il linguaggio tradizionale delle icone bizantine che caratterizzò fortemente i suoi primi anni lasciò sempre un che di volutamente primitivo e arcaico nelle tele del cretese.
Malevich maestro di astrattismo a Bergamo
A cento anni dalla nascita del Suprematismo, la GAMeC di Bergamo ospita, fino al 17 gennaio, una bella retrospettiva del pittore russo Kazimir Malevich, con una settantina di opere scelte da Eugenia Petrova, vice direttore del Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, con Giacinto Di Pietrantonio. Nelle sale del museo si può ripercorrere il variegato percorso di questo artista che, insieme a Kandinsky, può essere considerato l’iniziatore dell’arte astratta nel Novecento. Mentre negli anni Dieci Picasso scomponeva la figura andando alla ricerca di un’immagine via via sempre più sintetica ed essenziale, fatta di sola linea, Malevich la abbondonava completamente, aprendo la strada all’astrattismo contemporaneo con opere come Quadrato rosso e Quadrato nero. Quando il 17 ottobre del 1917 scoppiò la rivoluzione, l’artista russo aveva già concluso quel periodo di sperimentazione suprematista. A Bergamo, in particolare, s’incontra Quadrato rosso ovvero Realismo pittorico di una contadina in due dimensioni. E se il nero per Malevich è il colore dell’economia che stritola la povera gente, il rosso per lui era il colore della rivoluzione fin dal 1915, come si evince dalla data di questo celebre quadro. Malevich era arrivato a questa conclusione radicale ed estrema – un quadrato rosso, su campo bianco – dopo aver attraversato un periodo simbolista, come raccontano in mostra opere come Paesaggio con casa gialla , 1906 e Autoritratto del 1907 che evocano lo stile alla Klimt. Con un radicale rinnovamento del proprio modo di dipingere, qualche anno Malevich dette vita al movimento cubo-futurista, mutuando da Braque e Picasso la tecnica del collage e dal futurismo l’idea che il nuovo e la bellezza della vita moderna avessero a che fare con la velocità e con la tecnica come potenziamento dell’identità umana. Lontano dallo spirito guerrafondaio dei futuristi italiani, quando Marinetti andò in tour in Russia, Malevich era già oltre, inseguendo la realizzazione di nuove idee e progetti. « Malevich era totalmente disinteressato. Non inseguiva il successo, la carriera, il denaro, gli agi- non aveva bisogno di tutto ciò -. Era , per così dire, innamorato delle proprie idee», raccontava d lui lo storico della letteratura Michail Bachtin che lo aveva conosciuto e frequentato a Vitebsk, fra il 1920 e il ‘22, come ricorda Jean-Claude Marcadé nel catalogo Gamm Giunti che accompagna questa mostra, che culmina con la ricreazione de La Vittoria sul Sole, prima opera totale di musica, arte, poesia e teatro, creata con Matjusin e Krucenych.
E ancora. Alle Terme di Diocleziano a Roma, la splendida retrospettiva di Henry Moore, al Macro la personale di Gillo Dorfles al Macro, l’avanguardia europea di CoBra alla Fondazione Roma, Toulouse -Lautrec in Palazzo Blu a Pisa e all’Ara Pacis a Roma, Giotto a Milano, Klee a Nuoro, Monet a Torino, Brueguel a Bologna, De Chirico a Ferrara, L’antico Egitto a Bologna.
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