Renzi governa sulla base dei sondaggi. Questo esser proni ai sondaggi sminuisce non poco la figura dello statista che debba avere tra le sue capacità principali quella di riuscire a vedere più lontano degli altri

Ne parla Ignazio Marino nella sua intervista di ieri all’ Huffington Post: “Renzi governa sulla base dei sondaggi, come Berlusconi” dice l’ex sindaco di Roma, mentre parla dell’espropriazione del proprio ruolo politico alla guida della capitale. Ma non è di Roma che mi interessa parlare, ora, quanto piuttosto di un’idea che comincia a circolare e consolidarsi anche tra i renziani di primo pelo che oggi, a microfoni spenti, non nascondono i dubbi su un governo che sembra avere un fumoso progetto politico a lungo raggio affidandosi piuttosto ai sondaggi e alla pancia. Proprio ieri un componente di governo, in uno scambio di battute privato, mi confessava di essere convinto che lo stesso “bonus ai giovani” sia figlio più dei sondaggi che di un progetto.

E non è un caso che l’articolata strategia di comunicazione renziana abbia una concezione della volontà popolare molto simile a quello che è il sentiment per i professionisti della rete: se per i professionisti dei social la misurazione del “brand sentiment” si basa su un algoritmo tra Twitter, Facebook e gli altri social in rete per i renziani, in modo non dissimile, conta ciò che si dice e si pensa non tanto come valutazione dell’operato di governo ma anche (e soprattutto) come suggeritore delle azioni di governo. È un bene? Forse è presto per riuscire a dare una valutazione che sarà la storia a formare ma certamente questo esser proni ai sondaggi sminuisce non poco la figura dello statista che debba avere tra le sue capacità principali quella di riuscire a vedere più lontano degli altri. Messa così, insomma, il Presidente del Consiglio risulta essere piuttosto un attento ascoltatore degli stomaci piuttosto che l’interprete di un tempo. E questo, detto così su due piedi, non mi sembra un granché.

Ma c’è qualcosa di più che mi inquieta in questa mania di trasformare le percentuali in religione, tra l’altro in un tempo così delicato nel riconoscimento delle dinamiche sociali e affettive: il feticismo per i sondaggi ha portato negli ultimi anni all’inseguimento da parte del potere dell’urlaccio più forte e dell’indignazione più urticante. Cos’è il populismo se non confondere il popolare con il giusto? E questo populismo, imborghesito dall’aritmetica impaginata per bene, è pericoloso come lo sono tutte le minacce difficili da riconoscere.

C’è una bella tesi universitaria di Giovanni Salvatore Sanna, laureato alla Luiss nel 2012, che si intitola «Governare i sondaggi» (la trovate qui) e si chiude così:

Riprendendo lo schema di Bernard Manin, se il XIX è stato il secolo delle “democrazie parlamentari”, il XX è il secolo delle “democrazie dei partiti”, il XXI sarà invece il secolo delle “democrazie del pubblico”. Dalla fine delle culture politiche tradizionali, i partiti trovano sempre più difficoltà nel riuscire a rappresentare le diverse identità in cui si riconosco i cittadini, alimentando così l’instabilità ed il fenomeno della volatilità elettorale. Nelle democrazie contemporanee c’è una tendenza crescente da parte dei leader politici di voler rappresentare la maggioranza della popolazione attraverso la propria persona, senza che vi sia alcun intermediario tra loro e i cittadini. In questa prospettiva l’opinione assume un ruolo sempre più importante e insieme ad essa il sondaggio demoscopico si rivela lo strumento più rapido per intercettarla. Nella “democrazia dell’opinione” l’uso (distorto) dei sondaggi comporta tuttavia dei grossi rischi: la perdita di credibilità del settore demoscopico, la deriva populista, “l’equiparazione della misurazione istituzionale del consenso, rappresentata dalle elezioni, con la misurazione virtuale del consenso, rappresentata dal sondaggio”184, la confusione tra l’opinione pubblica e l’opinione pubblicata.

Se invece la politica sarà capace di assegnare ai sondaggi solamente il ruolo di comprensione e analisi delle dinamiche della società, senza mai delegargli un ruolo decisionale, il sistema democratico non potrà che beneficiarne.

Ecco, io credo che un giorno si scuseranno di avere voluto governare con i sondaggi. Piuttosto che governare i sondaggi.