Novemila dollari, il prezzo che un uomo era disposto a pagare per sposarla in Afghanistan. Il destino di 3 milioni e mezzo di spose bambine ogni anno. Ma Sonita Alizadeh è scappata

Avvolta in un velo bianco da sposa, il volto ricoperto di lividi e un codice a barre sulla fronte. Sonita Alizadeh ha 18 anni ed è di Herat, Afghanistan. La scopriamo così, sullo schermo, con un videoclip su Youtube mentre supplica la famiglia di non venderla a uno sconosciuto, in un sussurrato rap afghano. Nel video di “Brides for sale” (Spose in vendita) dall’incantevole voce di Sonita uiscono parole pesanti come macigni, parole semplici, dirette (che potete leggere nel- le pagine che seguono). Vere, quanto è vera la sua storia di sposa bambina sfuggita al matri- monio combinato dalla sua famiglia.

Date in spose ancora bambine, così comanda la “tradizione” di cedere le proprie glie per ri- solvere dispute familiari o per soldi. È il destino di 13 milioni e mezzo di adolescenti nel mondo. E sarebbe stato anche il destino di Sonita, se non avesse deciso di ribellarsi e scappare. Nel suo Paese, l’Afghanistan, dal 2009 un decreto presidenziale che vieta i matrimoni forzati c’è, ma non è ancora legge perché il Parlamento non lo ha rati cato. Ad oggi, si stima, questa pratica riguarda almeno il 15% delle adolescenti afghane. E poi, in Afghanistan, c’è pure la guerra. Ed è per questo che quando ha appena otto anni, Sonita fugge insieme alla sua famiglia per stabilirsi a Teheran. È una profuga senza documenti, come tanti da quelle parti, e non può avanzare alcun diritto all’istruzione. Così, comincia a frequentare un’associazione no profit che le permette di studiare e la incoraggia a coltivare il suo talento musicale. Sonita scopre il rap e comincia a scrivere testi coraggiosi, poi incontra una giovane regista iraniana e i loro videoclip iniziano ad avere successo. Finché la madre le dice che devono rientrare in Afghanistan. Novemila dollari è il prezzo che un uomo è pronto a pagare per averla in sposa. Novemila dollari, il denaro di cui la sua fami- glia ha bisogno per pagare il matrimonio di suo fratello. Sonita ha 15 anni e scrive “Brides for sale”, per dare voce alla sua protesta. Coraggio doppio, dal momento in cui la promessa sposa bambina si trova in Iran, dove per le donne cantare e comporre musica è vietato per legge. Link dopo link, su facebook e su youtube, il video fa il giro della Rete no ad arrivare all’orga- nizzazione britannica Strongheart, che la contatta e la sostiene. Oggi, dopo dieci anni di fuga, Sonita vive e studia negli Stati Uniti, grazie a una borsa di studio della Wasatch Academy dello Utah, dove si prepara a diventare avvocato, continuando a lavorare alla sua musica. Ed è impegnata in una campagna internazionale per combattere il fenomeno del matrimonio precoce. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia. E dopo non pochi passaggi burocratici, ci siamo riusciti.

Sonita, sposa bambina in Afghanistan, profuga in Iran, rapper sulla Rete. Negli Stati Uniti chi sei?
Adesso sono una studentessa, nalmente. È la prima volta nella mia vita che vado a scuola, e mi piace. Sto anche lavorando alla mia campagna per mettere ne al matrimonio precoce. Viaggio e mi esibisco per raccontare la mia esperienza e la questione delle spose bambine.
Dopo dieci anni hai smesso di scappare. Che cosa ricordi dell’Afghanistan e del viaggio verso l’Iran?
Ero molto piccola quando la mia famiglia ha deciso di lasciare l’Afghanistan, perché era troppo pericoloso restare lì. Ricordo che abbiamo raggiunto l’Iran a piedi. Ci sono volute settimane, è stato un viaggio molto duro e molto pericoloso. In Iran ho vissuto per molti anni, la maggior parte della mia infanzia, come rifugiata senza documenti. E, come afghana senza documenti, non potevo andare a scuola. Capisci che quando ho avuto la possi- bilità di frequentare una vera e propria scuola negli Stati Uniti non potevo non andare… era da sempre il mio sogno.
E poi dovevi anche sfuggire a una promessa di matrimonio, sapevi a cosa andavi incontro?
Sapevo che mia madre voleva farmi sposare un uomo più anziano di me. All’epoca vivevo in Iran, ma lei voleva che io tornassi in Afghanistan per sposarlo. Non conoscevo quell’uomo, era un estraneo per me. È stato tremendo, perciò ho scritto quella canzone.
Hai scelto il rap per cantare la tua storia, che non è solo tua. Una donna così giovane, che canta in rap afghano non è usuale, come mai questa scelta?
Ho iniziato cantando musica pop, poi ho scoperto che era dura da adattare a tutti i pensieri e le parole che volevo condividere. Il rap mi permette di dire di più, di condividere un messaggio ancora più grande e in modo po- tente. Ed è per questo che mi piace. Con il rap posso raccontare la mia storia e la storia di tante, tantissime ragazze come me.
Anche il video ha un impatto molto potente. Sei stata coraggiosa, quali sono state le reazioni e le conseguenze?
Ho ricevuto parecchio sostegno per il mio video. Per molte persone la visione di quel video è stata la prima volta che hanno ascoltato una ragazza che aveva da dire qualcosa su se stessa e su ciò che pensa. E per molte ragazze, è stata la prima volta in cui hanno ascoltato qualcuno parlare di loro e di come si sentono davvero.
E la tua famiglia come l’ha presa?
Mi hanno ascoltata per la prima volta quando hanno visto il video in tv. Credo di poter dire che solo allora hanno cominciato a capirmi. Sì, solo quando la mia famiglia ha visto e ascoltato, ha iniziato a comprendere.
Sonita Alizadeh si esibisce mentre viene proiettato il videoclip di “Brides for sale”. Da un anno i suoi concerti sono l’occasione per denunciare la pratica dei matrimoni precoci. In apertura, Sonita nello studio di registrazione
Mia madre voleva farmi sposare un uomo più anziano di me. È stato tremendo. Solo quando la mia famiglia ha ascoltato e visto il video ha cominciato a capirmi
«Lasciami sussurrare, così nessuno sentirà che parlo di ragazze vendute. La mia voce non deve essere udita perché va contro la Sharia». È una frase molto forte, tu sei credente?
Io sono musulmana e credo in Dio. So che Dio veglia su di me e si prende cura di me. E mi rende triste vedere alcune persone che usano l’idea di Dio per giusti care violenza, tortura e morte. Il Dio che conosco è pacifico e amorevole con tutti.