Gli europei, i nordafricani, gli ex sovietici: gli stranieri che partono per la Siria - e tornano in Europa - hanno molti percorsi diversi. L'idea di una comunità immaginaria e della "terra promessa" è più forte della spinta religiosa. Lo studioso ne ha intervistati decine

Il messaggio video a David Cameron postato in rete dall’Isis il 2 gennaio è l’ennesimo segnale di una presenza, quella dei cosiddetti foreign fighters, i combattenti stranieri, che anima gli incubi delle agenzie di intelligence d’Europa. Alcune migliaia di persone, nate e cresciute in Occidente, hanno scelto di sacrificare le proprie vite per combattere per il Califfato in Siria e Iraq o arruolandosi online e partecipando all’organizzazione di attacchi terroristici. Questa colonna di reclute pronte a dare tutto quel che hanno per una causa politico-religiosa è uno degli elementi che fa la forza di Daesh e sgomenta noi. «Tra i foreign fighters occidentali c’è una gamma ampia di percorsi che porta al jihad. Certo, c’è una concentrazione di persone che viene dalle grandi periferie-ghetto urbane d’Europa. In America un figlio di immigrati musulmani nel giro di una generazione è in media più ricco e ha studiato di più dei suoi genitori, questo non è più vero in Europa, dove a seconda del Paese, queste persone hanno da 5 a 19 possibilità in più di essere poveri. Negli Usa c’è un tessuto sociale che favorisce l’integrazione economica degli immigrati.

Nella stessa popolazione carceraria di alcuni Paesi europei la componente musulmana è sovra-rappresentata: ad esempio in Francia i musulmani sono il 7-8% dei cittadini ma le stime sui carcerati parlano di un 50-70%». A parlare è Scott Atran, antropologo franco-americano che da anni studia i combattenti musulmani e ha condotto decine di interviste con miliziani catturati in Siria e Iraq – o disertori per delusione – e giovani europei finiti nei guai per avere collegamenti con reti terroristiche a Parigi, Londra, Barcellona. «Per molti che si sentono esclusi, che pensano di non avere una parte nella società, l’Isis è attraente. “Mi sento come una transgender, non francese e nemmeno araba. Il Califfato è forse l’unico luogo in cui posso essere una musulmana con dignità” Ci ha detto una donna intervistata di recente».

Non ci sono solo i giovani delle periferie, un problema di identità lo hanno in tanti. «Un altro gruppo attratto dall’Isis sono i giovani brillanti che sentono di essere lasciati indietro a causa della loro provenienza o appartenenza religiosa e per questo covano rabbia e frustrazione».

Infine i piccoli criminali: «Tra questi abbiamo individuato con frequenza un aspetto interessante: le persone che con maggior frequenza si offrono volontarie per le missioni suicide vengono da questo mondo. Queste persone preferirebbero essere membri a pieno titolo della società se potessero. Lo Stato islamico offre loro redenzione e questi la cercano mettendo a disposizione l’interezza dei loro interessi, la loro vita». Anche in Nord Africa, dove il reclutamento sembra essere in crescita, c’è una tipologia simile di giovani brillanti e frustrati dalla corruzione e dalla mancanza di opportunità. Qui però ci sono anche gli ex jihadisti locali – gli algerini, ad esempio.

cover left n.2 | 9 gennaio 2015

 

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