Dunque a questo punto cosa sappiamo di Giulio Regeni?
Di Giulio sappiamo che non riusciva a restare indifferente di fronte ad un regime fintamente democratico; sappiamo che non sopportava le ingiustizie e che si proponeva di raccontarle, studiarle e scriverne; sappiamo con sicurezza che aveva uno sguardo lucido sulle lotte dei lavoratori egiziani e sappiamo che aveva una naturale propensione per ascoltare i vinti piuttosto che lisciare i vincitori e per dare voce a chi non ne ha. Ah, sappiamo anche che, al contrario della propaganda di regime, fosse consapevole dei reali rischi che avrebbe potuto correre.
Giulio Regeni era un giornalista. Oltre a tutto il resto Giulio è uno di quelli che dà lustro a questo mestiere, come ce ne sono tanti giovani, capaci e non condizionabili che la frontiera la abitano davvero, prima di raccontarla.
Se Giulio è riuscito a spaventare il potere più di quanto facciano i potenti “per posizione” significa che Giulio, probabilmente, avesse lucidità e responsabilità. Più di quella di chi avrebbe possibilità infinitamente superiori ad una articolo inviato in Italia dal Cairo con una mail.
Giulio è anche un curioso. E i curiosi non hanno mai molta fortuna. In Egitto e in Italia. E sappiamo anche che questa è un’indagine mica solo di omicidio ma anche un’indagine su un depistaggio. E che c’è stato tutto il tempo per depistare per bene. Quindi la verità va cercata con lo stesso piglio con cui scriveva Giulio, senza badare troppo alla cortesia diplomatica.
Insomma, servirebbe un Giulio identico in missione in Egitto per scoprire la verità. Solo che qui i Giulio li pubblicano da morti, mica da vivi. E chissà se in tutto questo dolore impareremo anche questa, di lezione.