Poeta, romanziere e pittore, Giorgio Manacorda sta vivendo una nuova stagione creativa dopo aver insegnato per tanti anni letteratura tedesca all’università ed aver scritto molto come critico letterario. Con il suo romanzo d’esordio, Il corridoio di legno, nel 2012 è stato finalista al Premio Strega. Sempre per Voland sono usciti poi i noir Delitto a Villa Ada e Cargo giapponese e più di recente Terrarium caratterizzato da una prosa fortemente poetica. Del resto la poesia è stata la prima e più longeva passione di Manacorda come testimonia il suo impegno per l’annanuario Castelvecchi e le sue numerose raccolte di versi a cui di recente si è aggiunto il volume Viaggio al centro della terra pubblicato da Elliot. E che presto potrebbe avere un seguito. “Piano piano sto scrivendo un altro libro di poesie. Ma anche un nuovo romanzo. Visto che mi alzo tutte le mattine, finché posso scrivo. Poi – accenna sorridendo – comincia la vita”.
Il critico Matteo Marchesini ha scritto che lei è un vero romantico. Si riconosce in questa definizione?
E’ una tesi di Matteo, non so bene cosa voglia dire, forse che sono diventato sempre meno razionalista. Penso sempre meno che il mondo sia spiegabile con gli strumenti della ragione, mettiamola così. Penso sempre più ch, in realtà, solo i poeti hanno capito qualcosa. Ma forse non è varo neanche questo. Al fondo gli esseri umani non sono razionali. Agiamo spinti da pulsioni, dalle emozioni , dal sentire, dal vissuto. Mente e corpo non sono scissi come invece vuole certa cultura occidentale. Da Cartesio in poi prevale il detto Cogito ergo sum. Dove il cogito è il pensiero razionale e la scissione è un cardine. Ma se dio è il prodotto della natura, se tutto è immanente, come già accennava Spinoza, crolla qualsiasi visione metafisica. Per paradosso poi la religione, una volta costruita, è diventata razionale, per cui anche questo fuori dal mondo lo diventa.
Più che a Spinoza, per questa critica alla religione, in ambito filosofico antico, dovremmo rivolgerci a Giordano Bruno.
Anche a Bruno, certamente. Il modello razionalistico, scientista, è diventato il modello del mondo occidentale da Galilei in poi. Come funzioni il resto del mondo poi è un altro discorso. Ma possiamo dire che questo modello in Occidente è in crisi. Non dimentichiamo Nietzsche e Novalis… Forse dicendo che sono romantico Matteo Marchesini pensa a questo. Anche se io non ho mai pensato di esserlo. Per la verità non ho mai pensato di essere nulla di particolare. Ma per uno che viene da una famiglia come la mia, da una cultura comunista, forse non è scontato. Mio padre (Gastone Manacorda, storico della Fondazione Gramsci ndr) era un marxista crociano. Era stato educato nell’idea che il mondo è razionale. Io ci ho messo un po’ di anni ma poi…
Romanziere, pittore, poeta, critico. Come nasce l’esigenza di usare strumenti espressivi differenti?
Sono i casi della vita, mai avrei pensato di dipingere anche perché non so disegnare. Ho solo provato, tanto per provare, e per quattro o cinque non ho mai smesso. Mi sembrava di avere la febbre. Non ho fatto altro che dipingere. Poi un amico ha visto i quadri, così ho cominciato a fare mostre. La prossima si aprirà il 3 marzo. Però ora le cose sono un po’cambiate, per tutta una serie di questioni personali, non ho più lo studio. Però se la sua domanda è “perché questo suo eclettismo?” parliamo di Goethe… con le debite proporzioni. Anche lui faceva di tutto!
Ciò che conta è la ricerca, di volta in volta, gli strumenti espressivi possono cambiare?
Se usiamo la parola ricerca siamo già in un ambito avanguardistico, che si è ficcato in un grande equivoco. Limitando la domanda a me, la cosa è molto semplice, mi alzo, mi gira e scrivo una poesia. Il fatto curioso è che mi succede anche quando scrivo un romanzo. Quando comincio non so cosa scriverò il giorno dopo. Arrivo al punto che se mi metto a prefigurare cosa scriverò, smetto di scrivere. Non mi interessa nemmeno più. Capisco che sembri assurdo ma per me funziona anche per la saggistica cosiddetta scientifica. Se ciò significa che sono romantico, forse lo sono…
Per tanti anni ha curato uno strumento fondamentale per chi fa informazione culturale come l’annuario di poesia. Cosa ha causato la fine di quella esperienza?
Sono contentissimo che mi dica che era uno strumento importante, così uno ha la sensazione di aver fatto una cosa utile. Personalmente ho smesso di lavorarci per un senso di crescente irritazione per la situazione della poesia italiana contemporanea. Mi sembrava ci fosse una grande stagnazione e che fosse scomparsa completamente la critica. E per me qualunque attività artistica necessita della critica. Volevo evitare che fosse un rondò, sarebbe stato un balletto molto spiacevole. Per questo nell’ annuario non si pubblicavano poesie. Era un annuario critico. L’ho fatto quasi da solo poi con qualche giovane critico. Era diventato una specie di palestra e poi sono rimasti in due, i più bravi, Paolo Febbraro e Matteo Marchesini. Dopo una decina di numeri ho smesso di fare l’editoriale e l’ho passato a Paolo, anche perché quello che avevo da dire lo avevo già detto. Ho fatto un passo indietro e alcuni libri e antologie, Per la poesia e La poesia è la forma della mente. Poi narrativa sui poeti. Nel frattempo anche i più giovani, forse, si sono accorti di non avere più nulla da dire. Ma sono intervenute anche vicende esterne. L’annuario di poesia era noto come l’annuario Castelvecchi, quando Alberto uscii dalla casa editrice dovevamo pagarcelo da soli. Come succede in questi casi si cerca un altro editore, non ti ci trovi e dunque abbiamo davvero detto basta, fine del discorso. Forse se fosse rimasto Alberto Castelvecchi sarebbe andato avanti, chissà.
Ma il suo impegno editoriale con la poesia non è terminato, dopo la pubblicazione di Viaggio al centro della terra, con Elliot, l’avventura ricomincia?
Con Castelvecchi pubblicherò un libro dal titolo La poesia. Dopo quello di Croce nessuno ha mai più avuto il coraggio di scrivere un libro intitolato così. L’ho lasciato lì per anni, finalmente mi sono deciso. L’amico Alfonso Berardinelli mi disse una volta perché non raccogli i tuoi saggi? L’ho fatto con quelli sugli autori tedeschi non me la sono sentita per i lavori sulla poesia, forse perché mi davano la sensazione di un discorso in corso, riflessioni che si erano accumulate nel tempo. Ma a poco a poco ho cominciato a pensare a questo libro, mi sono imbarcato in quest’impresa un po’ assurda, perché qui provo a dire cosa è la poesia, senza alcuna pretesa scientifica…. Forse sono proprio un romantico come dice Marchesini! Nel frattempo Elliot mi ha proposto di dirigere la sua collana di poesia. Una cosa per me davvero bella perché non sarà una delle solite collane che pubblicano tre titoli l’anno senza far capire con quale logica, perché quello o l’altro. Sarà l’unica di poesia con uno che si piglia la responsabilità di pubblicare dieci titoli l’anno, quasi un libro un mese. Cosa davvero insolita. Che non ha eguali in Italia, a parte lo specchio di Mondadori. Ci prenderemo la briga di fare delle scelte, pubblicando autori italiani, stranieri, qualche repeschiage.
Un’ anticipazione?
Tra maggio e giugno usciranno i primi due titoli: di un poeta cileno, Santiago Elordi, e di un poetessa tedesca, Susanne Stephan. @simonamaggiorel
Su Left in edicola Giorgio Manacorda parla del Viaggio in Italia di Goethe
Questo articolo continua sul n. 7 di Left in edicola dal 13 febbraio