L’organizzazione umanitaria Amnesty International ha diffuso il Rapporto 2015-2016 sullo stato dei diritti umani nel mondo. Secondo la onlus le vicende che si stanno svolgendo sulla scena politica internazionale rischiano di mettere sempre più a rischio il rispetto dei diritti delle persone. Nel corso dell’ultimo anno molti governi hanno sfacciatamente violato il diritto internazionale e continuano a operare volutamente per indebolire le istituzioni che sono impegnate nella tutela delle persone. Secondo Salil Shetty, segretario del movimento globale, il rischio mette in discussione gli stessi principi democratici, infatti: «Non sono solo i nostri diritti a essere minacciati – ha dichiarato – lo sono anche le leggi e il sistema che li proteggono». La protezione internazionale dei diritti umani rischia quindi di essere sempre più compromessa a causa di interessi egoistici nazionali di corto respiro e dell’adozione di misure di sicurezza che guardano poco o nulla al rispetto ai diritti e alle libertà fondamentali. Rispetto che viene indebolito anche tagliando i fondi o limitando l’azione di tutte quelle organizzazioni nazionali e internazionali che hanno il compito di monitorare per una corretta applicazione dei diritti dell’uomo. Spesso addirittura «i governi non si vergognano di descrivere la protezione dei diritti umani come una minaccia alla sicurezza, alla legge e all’ordine e ai ‘valori nazionali»– ha spiegato Shetty.
Per Amnesty l’attuale panorama mondiale non è rassicurante: «Non sono solo i nostri diritti a essere minacciati, lo sono anche le leggi e il sistema che li proteggono. Oltre 70 anni di duro lavoro e di progresso umano sono a rischio». Gli organismi sui diritti umani delle Nazioni Unite, il Tribunale penale internazionale e meccanismi regionali come il Consiglio d’Europa e il sistema interamericano dei diritti umani sono minacciati da governi che cercano di sfuggire ai controlli sulla situazione interna dei loro paesi. Risultando di fatto molte volte impotenti e impossibilitati a far applicare le risoluzioni.
I dati pubblicati da Amnesty sono impressionanti nel 2015 oltre 122 stati hanno praticato maltrattamenti o torture e 30 paesi, se non di più, hanno rimandato illegalmente rifugiati verso paesi in cui sarebbero stati in pericolo. In almeno 19 paesi, governi o gruppi armati hanno commesso crimini di guerra o altre violazioni delle “leggi di guerra”. Non sono mancati inoltre altri abusi come gli attacchi deliberati di molti governi ad attivisti, avvocati e altre persone che difendono i diritti umani. «L’obiettivo di queste azioni è ridurre al silenzio le critiche e zittire i loro cittadini in violazione delle stesse leggi nazionali» spiega sempre Shetty. E continua: «La malconcepita reazione di molti governi alle minacce alla sicurezza nazionale si è tradotta in un attacco alla società civile, al diritto alla riservatezza e a quello alla libertà di parola. Siamo di fronte al palese tentativo di rendere i diritti umani parole sporche, di contrapporli alla sicurezza nazionale, alla legge e all’ordine, ai ‘valori nazionali’. Per far questo, i governi hanno persino violato le loro stesse leggi».
Quello che emerge è una sostanziale debolezza delle Nazioni Unite e una forte difficoltà nel tutelare i diritti umani soprattutto di fronte all’aggravarsi dell’emergenza profughi o con l’ampliamento del conflitto in Siria. Le Nazioni Unite erano state istituite per ‘salvare le future generazioni dal flagello della guerra’ e ‘riaffermare la fiducia nei diritti umani fondamentali’, richiedono di essere ripensate alla luce delle nuove sfide che si trovano ad affrontare. E di questa necessità di ripensare l’Onu e dargli nuovo vigore si farà carico anche il prossimo segretario generale delle Nazioni Uniti che verrà eletto quest’anno per subentrare a Ban Ki Moon nel 2017 e che, potrebbe essere, per la prima volta nella storia, una donna. Chiunque sia nominato alla guida dell’Onu, rimangono chiari fronti dell’impegno che emergono dalle stesse parole di Shetty di Amnesty International: «Oggi il mondo sta affrontando molteplici sfide, create o prolungate nel tempo da governi che si perdono in giochi politici a spese delle vite umane. Milioni di rifugiati soffrono a causa della proliferazione dei conflitti e i gruppi armati attaccano deliberatamente le popolazioni civili e commettono altri gravi abusi».
Violazioni dei diritti umani nel mondo durante il 2015
Nel 2015 Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti economici, sociali, politici e civili in molti paesi. Qui sotto riportiamo un elenco che riassume la posizione di molti stati, fra le violazioni la onlus inserisce anche la chiusura delle frontiere in un Ungheria e il trattamento che qui hanno ricevuto i migranti.
Angola: uso delle leggi sulla diffamazione e sulla sicurezza per intimidire, arrestare e imprigionare persone che avevano espresso pacificamente le loro opinioni; mancato rispetto delle raccomandazioni delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani.
Arabia Saudita: brutale repressione contro chi aveva osato chiedere riforme o criticare le autorità; crimini di guerra nella campagna di bombardamenti in Yemen; ostacolo all’istituzione di una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui crimini commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto dello Yemen.
Burundi: sistematiche uccisioni e uso massiccio di altre tattiche violente da parte delle forze di sicurezza; tentativo di sopprimere la comunità dei diritti umani.
Cina: aumento della repressione contro i difensori dei diritti umani; adozione di leggi indiscriminate in nome della sicurezza nazionale.
Egitto: migliaia di arresti, anche nei confronti di chi aveva espresso critiche in modo pacifico, nell’ambito della repressione in nome della sicurezza nazionale; prolungata detenzione di centinaia di persone, senza accusa né processo; centinaia di condanne a morte.
Gambia: torture, sparizioni forzate, criminalizzazione delle persone Lgbti; totale rifiuto di cooperare con le Nazioni Unite e con gli organismi regionali per i diritti umani su questioni come la libertà d’espressione, le sparizioni forzate e la pena di morte.
Israele: mantenimento del blocco militare nei confronti di Gaza e conseguente punizione collettiva ai danni di 1,8 milioni di abitanti; mancato rispetto, così come da parte della Palestina, della richiesta delle Nazioni Unite di condurre serie indagini sui crimini di guerra commessi nel conflitto di Gaza del 2014.
Kenya: esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e discriminazione contro i rifugiati nel contesto delle operazioni anti-terrorismo; tentativo di indebolire il Tribunale penale internazionale e la sua capacità di perseguire la giustizia.
Messico: grave situazione dei diritti umani, tra cui 27.000 sparizioni; dura reazione alle critiche delle Nazioni Unite sul massiccio uso della tortura, quasi completamente impunito nonostante l’aumento delle denunce.
Pakistan: risposta gravemente lesiva dei diritti umani all’orribile massacro della scuola di Peshawar della fine del 2014; uso incessante della pena di morte; sorveglianza e chiusura degli uffici delle Ong internazionali considerate “contro gli interessi” del paese.
Regno Unito: continuo uso della sorveglianza di massa in nome della lotta al terrorismo; passi indietro costituiti dal proposito di evitare lo scrutinio della Corte europea dei diritti umani.
Russia: uso repressivo di leggi sulla sicurezza nazionale e contro l’estremismo dai contenuti vaghi; azione coordinata per ridurre al silenzio la società civile; vergognoso rifiuto di riconoscere le vittime civili degli attacchi in Siria e mosse spietate per fermare l’azione del Consiglio di sicurezza sulla Siria.
Siria: uccisione di migliaia di civili in attacchi diretti e indiscriminati contro i civili mediante barili-bomba e altri armamenti nonché con l’uso della tortura in carcere; lunghi assedi contro le aree civili, blocco degli aiuti internazionali alle popolazioni alla fame.
Slovacchia: diffusa discriminazione contro i rom, nonostante anni di campagne da parte di gruppi nazionali ed europei che alla fine hanno spinto la Commissione europea ad avviare una procedura d’infrazione contro il paese.
Stati Uniti: centro di detenzione di Guantánamo – esempio delle gravi conseguenze della “guerra al terrore” – ancora aperto; assenza di procedimenti giudiziari nei confronti degli autori di torture e sparizioni forzate.
Thailandia: arresto di persone che avevano espresso critiche in modo pacifiche tra cui attori, utenti di Facebook e autori di graffiti; rifiuto da parte del governo militare delle richieste internazionali di non limitare i diritti umani e non ridurre al silenzio il dissenso in nome della sicurezza.
Ungheria: chiusura dei confini di fronte a migliaia di rifugiati in condizioni disperate; ostacolo al tentativi regionali di aiutarli.
Venezuela: perdurante assenza di giustizia per gravi violazioni dei diritti umani e costanti attacchi contro i difensori dei diritti umani; denuncia della Convenzione americana dei diritti umani dopo il precedente ritiro dalla giurisdizione della Corte interamericana dei diritti umani, che ha significato negare la giustizia alle vittime delle violazioni dei diritti umani.
Violazioni dei diritti umani in Italia
All’inizio dell’attuale legislatura Amnesty International aveva presentato un’Agenda in 10 punti sui diritti umani in Italia. Lo scopo del documento era mettere in luce i principali ostacoli – legislativi, politici, culturali – al pieno rispetto dei diritti umani in Italia e raccomandare misure finalizzate a porvi rimedio. I temi trattati si riferivano in particolare alle discriminazioni perpetrate nei confronti di persone LGBT, persone che ancora oggi, mentre il ddl Cirinnà viene smembrato in parlamento, vedono non riconosciute le Unioni civili. Alla questione hot spot e migranti, alla necessità di inserire il reato di tortura. Su tutti i temi del documento Amnesty ritiene che: «le azioni poste in essere da governo e parlamento in relazione ai 10 punti dell’Agenda presentano finora numerose insufficienze, alcune delle quali piuttosto gravi». Un’altra questione che preoccupa l’organizzazione internazionale è l’esportazione di armi. Nel corso del 2015 e dell’inizio del 2016 sono stati trasferiti bombe e sistemi militari dall’Italia all’Arabia Saudita, attualmente impegnata in un’azione militare in Yemen, nel quadro di un conflitto caratterizzato da attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili (a cominciare dalle strutture sanitarie e dalle scuole). Il governo dell’Arabia Saudita è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, circostanza che dovrebbe da sola comportare – secondo una legge italiana, la n.185 del 1990 – il divieto di “esportazione e transito di materiali di armamento”. Queste stesse armi molto spesso finiscono successivamente nelle mani dei terroristi legati a Daesh alimentando ulteriormente il numero di violenze e abusi dei diritti umani nel mondo.