L’Italia è un cantiere in attesa che qualcuno lavori. Il governo dovrebbe intervenire con investimenti pubblici che avrebbero poi l’effetto di trascinare quelli privati

«Io della Fiat non parlo». È perentorio Cesare Romiti. Novantaquattro anni e cinquant’anni di Storia italiana sulle spalle. È stato quasi tutto: pupillo di Enrico Cuccia, Ad e presidente della Fiat e presidente di Rcs Mediagroup poi, per ventiquattro anni, è stato il rappresentante della prima e più blasonata industria italiana. E con l’Avvocato, come racconta spesso, non ha condiviso solo la passione per le macchine ma anche per i giornali: «Se non fosse stato il nipote del fondatore della Fiat avrebbe di sicuro fatto il giornalista. E di giornalismo parlavamo spesso. È una questione di curiosità per il mondo. La stessa che mi mantiene al lavoro alla mia età», ha dichiarato un paio d’anni fa proprio al suo Corriere della sera, di cui oggi fa fatica a parlare. Nel 2012 per Longanesi ha pubblicato Storia segreta del capitalismo italiano, con l’intento “dichiarato” di «contribuire alla formazione di una nuova classe dirigente di giovani». Poche domande, allora, per capire che ne pensa della “ripresa” e di due anni di governo Renzi.

Che dice il fiuto di Cesare Romiti? Al di là del quotidiano balletto sui numeri del Jobs act, lei la sente la ripresa?
No, purtroppo la ripresa ancora non c’è e non ci sono neanche le premesse perché possa esserci. Perché la ripresa non viene fuori da leggi, che sono anche necessarie e utili, ma da iniziative. Qui, invece, oltre che modificare il diritto del lavoro e la Costituzione, non è stato fatto nulla che permetta anche solo un inizio di ripresa.