Non abbiamo ancora chiaro cosa, quando e come sia successo, ma la strage in mare annunciata ieri sembra essere reale: la Bbc ha parlato con diversi sopravvissuti, oggi detenuti in un centro di riconoscimento nella città greca di Kalamata.
Le persone che sono riuscite a salvarsi sono 41, vengono da Somalia, Eritrea, Sudan, Egitto ed Etiopia ed erano partite da Tobruk (non dall’Egitto come si era detto in un primo momento, ma non c’è certezza nemmeno che si tratti di quella località libica) e parlano di centinaia di morti. Non abbiamo certezze sui numeri, ma le voci riportate da Bbc sono drammatiche, come sempre in queste occasioni. Non sappiamo quasi nulla e non abbiamo conferme perché il naufragio è avvenuto nella notte e in una zona di mare lontana dalle coste, spiega il media pubblico britannico.
«Mia moglie e il mio bambino annegati davanti a me, sono uno dei pochi che è riuscito a nuotare verso la barca più piccola», racconta un testimone. Ci sono almeno tre donne e un bambino di tre anni con una zia a Kalamata – racconta Bbc. Lo scafista avrebbe bloccato la barca e sarebbe ripartito verso la Libia con un barchino più piccolo dopo aver fatto una telefonata chiedendo soccorsi. Un gruppo di circa 200 persone sarebbe salito sul barcone già carico di gente, dicono altri.
A soccorrerli un cargo battente bandiera filippina, che li ha portati in Grecia. I migranti, che speravano di arrivare in Italia – in Grecia, lo sanno bene anche loro, le frontiere sono chiuse – si sono rifiutati di scendere dalla nave fino all’intervento della polizia ellenica. Il loro destino? «Non sono siriani, verranno espulsi», spiega un poliziotto.
Passiamo alle valutazioni. La prima è semplice, dopo l’accordo con la Turchia, le barche potrebbero aver cambiato rotta, si torna a partire dalla Libia per sbarcare in Italia. Lo avevano detto tutti quelli che avevano criticato l’accordo e probabilmente avevano ragione.
La seconda: queste persone verranno espulse anche se hanno diritto a chiedere asilo perché non sono siriane. Che l’Eritrea venga definita la “Corea del Nord d’Africa” non conta, che in Egitto si muoia senza sapere perché anche se si è uno studente italiano, non conta. Che in Somalia imperversino gli al Shabaab, non conta. I terroristi sono pericolosi qui, se stanno a casa loro e ammazzano i loro, non sono più terroristi.
Della terza abbiamo parlato ieri, ricordiamolo: nel rapporto di Forsenic Architecture Death by rescue leggiamo:
Sezionando i verbali delle riunioni politiche e documenti operativi inediti, il testo ricostruisce il processo istituzionale che si è svolto dopo l’annuncio dell’intenzione del governo italiano di sospendere l’operazione militare-umanitaria Mare Nostrum. che aveva suscitato critiche crescenti con l’accusa di costituire un “fattore di attrazione” per i migranti e, quindi, causando più morti in mare. Il 1 ° novembre 2014, le istituzioni dell’Ue hanno risposto avviando l’operazione Triton guidata da Frontex, l’agenzia europea delle frontiere, che schierato un minor numero di navi in una zona più distante dalla costa libica.
In sostanza la scelta è stata tra vite dei migranti e disincentivo, si è scelto di disincentivare.
Infine il tema dello scontro tra governo Renzi e Germania, gli eurobond per finanziare investimenti in Africa. L’idea non è sbagliata e l’opposizione tedesca è legata all’ossessione di non fare deficit e non spendere soldi, non al tema dei migranti. L’obbiettivo finale degli investimenti appare però poco chiaro, o meglio, è sbagliato. Gli investimenti in infrastrutture, infatti, non cambiano la dinamica migratoria se non negli anni e lo scambio tra Europa e Paesi africani sarebbe chiaramente: risorse in cambio di politiche di controllo più rigorose nei confronti dei migranti che partono e disponibilità a riaccoglierli.
Che vuol dire? Che se uno scappa dall’Eritrea potrebbe ritrovarsi in Nigeria o, peggio, nella stessa Eritrea, con la quale i rapporti restano ottimi. Si tratta insomma di una versione allargata dell’accordo con la Turchia, che ha un fondamento, ma solo se si escludono dall’accordo i Paesi nei quali i governi hanno una parvenza democratica e non si violano i diritti umani. In altre parole, le persone sbarcate del barcone naufragato, che non sono migranti economici, o almeno non lo sono tutti, non dovrebbero essere rispediti indietro. Così non oggi in Grecia, figuriamoci come sarebbe nel caso di sbarchi nei quali la maggioranza non viene dalla Siria.