Dal 27 al 29 aprile all'Angelo Mai di Roma va in scena lo spettacolo Slot machine del Teatro delle Albe di Ravenna. Marco Martinelli, che della compagnia è il fondatore insieme ad Ermanna Montanari, parla del suo libro-manifesto Farsi luogo, del progetto di un film e dello spettacolo romano

Dal 27 al 29 aprile all’Angelo Mai di Roma va in scena lo spettacolo Slot machine del Teatro delle Albe di Ravenna. Qui pubblichiamo l’articolo pubblicato su Left n.18 in cui  Marco Martinelli, che della compagnia è il fondatore insieme ad Ermanna Montanari, parla del suo libro-manifesto Farsi luogo, del progetto di un film e, appunto, dello spettacolo Slot machine

Quando Marco Martinelli finisce di leggere l’ultima pagina di Farsi luogo (Cue Press), per alcuni minuti, la penombra dell’Angelo Mai sembra conservare il suono delle sue parole. In piedi, in mezzo agli spettatori dello spazio romano, l’artista dispiega un manifesto poetico che al tempo stesso è anche politico. «Più che la messa in scena mi interessa la messa in vita, un corto circuito, un legame infuocato tra gli artisti e i cittadini» dice il drammaturgo che con Ermanna Montanari e altri compagni d’avventura ha reso il Teatro delle Albe di Ravenna una delle realtà culturali più vive d’Italia. Per alcuni giorni la compagnia ha fatto tappa a Roma: oltre alla lettura pubblica di Farsi luogo anche lo spettacolo Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi al teatro Argentina. E dal 27 al 29 aprile, le Albe torneranno all’Angelo Mai con Slot machine.

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Farsi luogo, pubblicato dalla casa editrice di Mattia Visani, ha come sottotitolo “Varco al teatro in 101 movimenti”. «Varco come una breccia, una fessura che si apre, oggi che sembra tutto chiuso», dice Marco Martinelli. Non si riferisce solo al teatro: è il «pantano italiano di questi ultimi trent’anni» che affiora. Scrive infatti in Farsi luogo: «Non c’è mai stata una seconda, una terza, una quarta Repubblica: si vivacchia in una eterna Tangentopoli, nel Reame della Corruzione e della Truffa, nel Regno di Fandonia e Cerimonia». Come reagisce allora l’artista, cosa significa il “farsi luogo” nei “non luoghi”? «Dopo trent’anni di di teatro – risponde – “farsi luogo” significa non poter separare il creare spettacoli dal creare mondo, comunità, legami. Non mi è sufficiente l’opera, gli spettacoli devono essere la punta scintillante dell’iceberg, ma sotto ci deve essere il mondo che tu crei con la tua energia». Un’attività che non si deve limitare al cerchio degli spettatori, per diventare «una spirale che invade la città e mette le generazioni a contatto tra loro, attraverso i diversi linguaggi», continua Marco. «Così il teatro, non più un passatempo serale un po’ nobile, torna al suo vero luogo, nel cuore della città e delle sue contraddizioni. Il grande teatro da Aristofane e Shakespeare fino a Brecht è stato questo: teatro e società, teatro e polis. La dimostrazione che è ancora possibile che gli esseri umani si relazionino tra di loro là dove l’arte e la bellezza non sono separabili dalla sfera etica che non è una categoria astratta, ma semplicemente è il rispetto dell’altro essere umano».
Nel libretto, «sgorgato da solo, in 3-4 mesi tra una tournée e l’altra», si parla di conoscenza (di “sete”) e di necessità di dialogo e di ascolto. Del resto, all’origine del Teatro delle Albe c’è l’ “omaggio” agli asini «condannati ad ascoltare tutti i lamenti» con le loro grandi orecchie (Siamo asini o pedanti, del 1989). Ma oggi la cultura “normale” sostiene che la verità non esiste e che è inutile cercare, facciamo notare. «Non è vero, io parlo invece di retta opinione. Anche se non la vediamo, comunque c’è!», dice ridendo. Poi spiega: «È un desiderio di conoscenza e di amore allo stesso tempo. La sfera conoscitiva è indistinguibile da quella erotica, nel senso proprio affettivo: noi siamo carezze, siamo abbracci. Questa è la nostra sete e la nostra fame, non certo quella di cui parlano i pubblicitari».

Il “farsi luogo” diventa lettura del presente sul palcoscenico, in Slot Machine, con Alessandro Argnani come protagonista. «Vedendo tutte quelle persone, donne, anziani, persi davanti davanti a quelle macchinette mi chiedevo: cosa sono queste vite e dove stanno andando?». Così ha incontrato decine di giocatori d’azzardo, si è fatto raccontare le loro storie. «Nel momento in cui ho cominciato a scrivere io ero un giocatore d’azzardo». Il protagonista, Doriano, contadino romagnolo ricco perché i genitori «si erano spaccati la schiena a lavorare la terra», è rimasto lì, in campagna. «Ma vive la dimensione del giudizio degli altri, ne ha paura. Una cosa che ci riguarda tutti perché viviamo in un’epoca in cui il giudizio è di una ferocia pazzesca», racconta Martinelli. Al suo Doriano accade di vincere, all’inizio, ma poi «entra in un inferno per cui conta solo giocare, stare davanti alla macchinetta, magari rubando i soldi ai fratelli. E perché? Perché lì non c’è giudizio, non ci sono gli altri che ti trattano male, lì, non c’è più nulla. È l’alienazione più assoluta» dice serio.

Chiediamo infine dei progetti in cantiere. Ed ecco la novità: un film come regista, il primo per l’uomo di teatro. «Ad agosto compio 60 anni», sorride, «e ci facciamo questo regalo, mi lancio». È la storia dell’“orchidea d’acciaio”, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, interpretata sulla scena da Ermanna Montanari. Il film non sarà la ripresa video dello spettacolo, anche se «il fuoco del lavoro è quello: la spinta spirituale e politica che lo percorre». «Ma io nel film riparto da una bambina che si perde in un grande magazzino di teatro, un labirinto, pieno di maschere, costumi, scenografie. Un luogo che è anche un sogno», racconta Marco. Ad un certo punto apre una porta e vede un toro vero, la richiude e scappa. «Finché, attraverso una porticina non entra dentro l’abside di una chiesa che fa parte del magazzino: qui trova una carta geografica della Birmania. A quel punto, lei, che è stata sempre seguita dalla macchina da presa, si gira e guarda negli occhi lo spettatore, dicendo: “Salve, io sono la vostra nuova maestra e oggi vi racconterò di Aung San Suu Kyi e della Birmania”». La bambina terrà in mano tutta la narrazione, sarà una favola orientale, continua Marco. I luoghi delle riprese ci sono già: il magazzino è quello della compagnia, sterminato, poi il teatro, dove esiste un’abside del ’200 e infine Punte Alberete, un luogo incontaminato: «Paludi, alberi rampicanti, animali: una Birmania a 5 km da Ravenna». Aung San Suu Kyi, ha promesso che quando verrà in Europa andrà a vedere lo spettacolo delle Albe. «Lei – conclude Marco – non è un’artista ma ha creato arte e bellezza nella vita, con la sua resistenza, con il suo non cedere al conformismo». Anche lei è riuscita a “farsi luogo”.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.