Quale sarà la prima cosa che dirai quando farai il tuo ingresso su quel palco pazzesco? «E la dico a te?». Inizia con una fragorosa risata la chiacchierata con Luca Barbarossa, mente generosa per propositi e buoni sentimenti. Classe 1961, cantautore di strada alla fine degli anni Settanta, fa il suo esordio a Sanremo nel 1981 con un omaggio alla sua città: “Roma spogliata”. Arriva il successo: i concerti, ancora Sanremo, ancora storie da suonare, anche insieme al poliedrico Neri Marcorè. Poi la radio, con il quotidiano Radio2 Social club che – tra commenti e canzoni, in duetto con illustri colleghi – ha portato alla realizzazione di Radio DUEts Musica Libera, un album per sostenere l’associazione Libera. Il Primo maggio è sul palco del Concertone di Roma, in piazza San Giovanni, per condurre il tradizionale appuntamento promosso da Cgil, Cisl e Uil. Sono giorni intensi questi, tra prove e dichiarazioni da rilasciare a chi, come me, vuol sapere tutto della sua carriera, dei suoi pensieri, dei suoi progetti. Lo inchiodo al telefono, in una sera di aprile. È ora di cena e «sta cadendo la notte sopra i tetti di Roma», come cantava nella poetica “Via Margutta”.
Ci riprovo, che dirai dal palco di San Giovanni?
Ho pensato a tante cose da dire, ma ogni giorno le cambio. È un evento con tante implicazioni sociali e politiche, un palco particolarmente sensibile a ciò che accade intorno. Io sono un cane sciolto, un uomo libero che non si fa condizionare da nessuno, perciò tratterò i temi che riguardano quella che io chiamo la precarietà esistenziale, una condizione diffusa in Italia e non solo, se pensiamo a quello che succede nel Mediterraneo. È un paradosso: siamo considerati un punto di arrivo, l’Italia è una porta per l’Europa, figuriamoci in quali condizioni sono queste persone, che rischiano di perdere la vita in mare.
Che cosa intendi per “precarietà esistenziale”?
La precarietà esistenziale è possibile quando non c’è rispetto della dignità del lavoro, perché si dà ai giovani questa sensazione che non stanno costruendo, ma che passano da un lavoretto all’altro, con stipendi risibili, con capacità e attitudini non riconosciute. Si dovrebbe pianificare a lunga scadenza, investire sulla conoscenza, la ricerca, l’università, sulle scuole pubbliche. I giovani, così come gli immigrati, sono il motore della società.
Occupazione giovanile e difesa dei diritti delle classi più deboli, sono queste le priorità hai detto più volte.
Ho tre figli e non voglio in nessuna occasione abbandonarmi al pessimismo di chi dice che questa è una nazione che non ce la fa, che non riparte, dove la corruzione fa la parte del leone ed è impossibile creare nuova occupazione. Io ai miei tre figli, quando li guardo negli occhi o ci parliamo, ho il dovere di dirgli che è un Paese che ce la farà, soprattutto grazie a loro.
Non solo a Roma si porteranno musica e contenuti, insieme. Anche a Taranto, per esempio, dove hai condotto un’edizione. Occasioni come queste possono ancora essere utili per manifestare un pensiero o fare il punto della situazione?
Ovunque venga festeggiato, il Primo maggio è il benvenuto. È una festa popolare, di dignità, libertà e difesa dei diritti. Ogni città ha le sue emergenze, Taranto ne ha di drammatiche per tutto ciò che succede intorno all’Ilva, ma questo non toglie importanza ad altre realtà.
Questo articolo lo trovi sul n. 18 di Left in edicola dal 30 aprile