Stefano Fassina ha fatto bene, ieri a Bersaglio Mobile, a chiedere scusa “a quella fetta di Roma che crede in noi”, ad assumersi le responsabilità per la catastrofica esclusione delle sue liste – contro la quale tenterà un ulteriore ricorso al consiglio di stato- e a convocare, per martedì prossimo, tutti i candidati consiglieri per decidere insieme il da farsi.
“Non siamo un partito strutturato, siamo un movimento in costruzione -ha detto-, dei beginners”. Principianti, un giudizio severo, dettato certo dall’amarezza, ma che purtroppo rende bene l’idea. Sinistra Italiana -fuoriusciti dal Pd, ex SEL, qualche ex grillino, altri piccoli gruppi organizzati- resta per ora un insieme di identità diverse, e in qualche caso raccogliticce, alla ricerca di un leader capace di federare o di intese locali che permettano alle varie anime almeno di coesistere. Non si vede quel grande confronto, politico e ideale, che sarebbe necessario per battezzare una novità vera a sinistra. E la voglia, precoce, di confrontarsi con le elezioni amministrative non ha certo aiutato.
A Roma ora Giachetti spera di attrarre una parte dei cittadini che avrebbero votato per Fassina e riuscire, così, almeno a superare il primo turno per concorrere al ballottaggio. “Sono l’unico candidato di centro sinistra”, dice. “La sinistra falce e cashmere vuole privatizzare l’Atac e se ne va in giro in Ferrari”, risponde via tweet Virginia Raggi. Mentre, secondo Alfio Marchini, “la sinistra ha abbandonato il suo popolo”.
Forse sarebbe il caso, dopo la riunione di martedì di Fassina con i candidati senza più lista, di convocare una sorta di Stati Generali della Sinistra Romana. In campagna elettorale e, purtroppo senza liste -a meno che il Consiglio di Stato non rovesci due gradi di giudizio-, per fare il punto su un programma, su qualche idea innovativa per Roma da sostenere anche dopo il voto, voto che non risolverà, purtroppo, i problemi della capitale