Il leader socialista chiede agli spagnoli un voto «senza intermediari». Sottolinea che l'alleanza tra Podemos e Izquierda unita non cambierà il loro risultato. E attacca la formazione di Iglesias, ma lasciando aperto lo spazio per il dialogo

«Se la mia vittoria deve dipendere dai voti di Pablo Iglesias, non c’è alcuna possibilità di avere una presidenza a guida socialista. Se dipendo da iglesias, ne sono convinto, non diventerò mai primo ministro». Il leader del Psoe Pedro Sánchez, a poco più di un mese dalle elezioni in Spagna, mette in chiaro la sua posizione nei confronti della formazione guidata da Pablo Iglesias.

Le due forze politiche sono ormai ai ferri corti, consapevoli che la battaglia elettorale si vince se si conquistano i voti a sinistra. Non a caso Podemos ha annunciato, le scorse settimane, la sua alleanza con Izquierda unida di Alberto Garzon alle elezioni del 26 giugno, con i sondaggi che danno il tandem Iglesias-Garzon attorno al 22% dei consensi.

Da qui la contromossa del socialista Sánchez, che per depotenziare l’alleanza di Unidos Podemos ha lanciato un appello per il voto «senza intermediari», affermando che «gli spagnoli devono riflettere sull’utilità del loro voto» e sul fatto che l’uniione tra Podemos e Izquierda unida «cambia l’ordine dei fattori ma non cambia il risultato».

Sánchez ha spiegato che il Psoe è l’unica garanzia di cambiamento per la Spagna, evocando un rapporto compicato con la formazione guidata da Iglesias, che dice di volere un accordo con il Psoe soltanto se vince Podemos. Ciò nonostante il leader socialista, che già ha dovuto rinunciare all’incarico di primo ministro per il veto di Podemos a un accordo con i centristi di Ciudadanos, non sbatte la porta e, anzi, si impegna a «essere generoso» con la formazione di Iglesias e «a lasciar da parte le divergenze del passato».

Un’apertura necessaria davanti ai tentativi di guadagnare consensi del premier uscente Mariano Rajoy. Il leader dei popolari ha ottenuto nei giorni scorsi un generoso lasciapassare dall’Europa, che ha deciso di rinviare a luglio le sanzioni per il deficit eccessivo (al 5,1% del Pil anche nel 2015), e al contempo ha promesso alla Commissione nuovi interventi strutturali in caso di rielezione: «Una volta che ci sarà un nuovo governo, siamo pronti a intraprendere ulteriori misure» ha scritto il primo ministro in una lettera insdirizzata alla Commissione Ue.