«Quante strade deve percorrere un uomo prima di poterlo chiamare “uomo”?» (Blowin in the wind, 1963). Lui di strade ne ha percorse parecchie. Chitarra, tastiera e armonica a bocca. In decenni di carriera si è fatto chiamare Elston Gunnn, Blind Boy Grunt, Lucky Wilbury/Boo Wilbury, Elmer Johnson, Sergei Petrov, Jack Frost, Jack Fate, Willow Scarlet, Robert Milkwood Thomas, Tedham Porterhouse. Oggi compie 75 anni, una vita nel segno del continuo cambiamento. Contestatore impeccabile, innanzitutto di se stesso.
“Blowin’ in the wind”, deve in parte la sua melodia a “No More Auction Block”,
la canzone tradizionale degli schiavi
Robert Allen Zimmerman è nato il 24 maggio di 75 anni fa a Duluth, in Minnesota. Cantautore, compositore, poeta, scrittore. Ma anche attore, pittore e scultore. Più volte candidato per il Premio Nobel per la Letteratura ed è stato insignito del premio Pulitzer alla carriera nel 2008. È la scrittura delle canzoni a essere generalmente considerata il suo più grande contributo. Con le sue canzoni ha saldato storia e letteratura con la musica country, blues, gospel, rock and roll, rockabilly, jazz,swing e Spiritual.
A lui si deve più d’un primato: l’ideazione del folk-rock, con Bringing It All Back Home (1965); il primo singolo di successo con una durata non commerciale con Like a Rolling Stone, oltre 6 minuti (1965) e il primo album doppio della storia del rock con Blonde on Blonde (1966). Per la rivista Rolling Stone è il secondo nella lista dei 100 miglior artisti, secondo solo ai Beatles, e il più grande cantautore di tutti i tempi.In tour con una formazione cangiante, con lui hanno suonato Joan Baez, George Harrison, The Grateful Dead, Johnny Cash, Paul Simon, Eric Clapton, Patti Smith, Bruce Springsteen, U2, The Rolling Stones, Joni Mitchell, Neil Young, Van Morrison, Ringo Starr, Mark Knopfler, Stevie Ray Vaughan, Carlos Santana, The Byrds.
Per qualcuno, il video promozionale del brano “Subterranean Homesick Blues” (1965)
è il primo videoclip della storia
Minneapolis. Dal Rock’n’roll al folk
Nel suo sangue scorrono le origini turche dei nonni paterni, emigrati da Odessa in fuga dai pogrom antisemiti del 1905, e quello ebreo lituano di nonni materni, anch’essi emigratii negli States. Nasce a Duluth ma cresce a Hibbing, nel Minnesota. Qui ascolta blues, country e rock’n’roll alla radio, e forma le sue prime band al tempo della scuola: The Shadow Blasters, The Golden Chords. E si esibisce in due concerti con Bobby Vee suonando il pianoforte. Robert si iscrive alla University of Minnesota Twin City e si trasferisce a Minneapolis.
Il rock and roll lascia il posto al folk. Galeotta fu Odetta che, racconta Dylan, una volta ascoltata, lo convinse a dar via la chitarra elettrica e l’amplificatore per comprare una Gibson acustica. «Sapevo bene, quando mi sono dedicato alla musica folk, che si trattava di una cosa molto più seria… C’è più vita reale in una sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i temi del rock’n’roll». In quei giorni, Zimmerman abbandona il college. E comincia a presentarsi come Bob Dylan.
Bob Dylan con Joan Baez
New York. I primi contratti e le canzoni di protesta
È al suo idolo Woody Guthrie che si deve il trasferimento di Dylan nella Grande mela, per una visita al New Jersey Hospital dove Guthrie è ricoverato. A New York City, Dylan suona per club finché attira una recensione positiva sul New York Times e viene notato dal talent scout della Columbia Records, John Hammond, che lo scrittura per il suo primo disco: Bob Dylan è una raccolta di canzoni della tradizione folk, blues e gospel, con due inediti di Dylan. L’album vende solamente 5mila copie nel primo anno, abbastanza per pagare appena le spese.
Non stracciarono il suo contratto, a difenderlo si alleò anche Johnny Cash. Nel ’62 cambia nome all’anagrafe (in Robert Dylan) e cambia manager assumendo Albert Grossman uno che, scherza Dylan, «sapevi che stava arrivando dal profumo», dice Dylan nel documentario No Direction Home: Bob Dylan. Il secondo album, The Freewheelin’ Bob Dylan (1963) è l’inizio della sua fama da autore di canzoni di protesta. Molti artisti, tra cui The Byrds, decidono di incidere sue canzoni, portandole a un rinnovato successo. In poco tempo,insieme a Joan Baez, diventa un punto di riferimento per il movimento per i diritti civili.
Seal & Jeff Beck in una delle tante versioni di “Like A Rolling Stone”
Da leader folk a rockstar
Ma è un uomo dalla “claustrofobia” facile, Dylan. Non è ancora finito il 1963 che già si sente imprigionato dal movimento folk e di protesta. Un anno dopo, in una sera soltanto, registra Another Side of Bob Dylan dove sfotte se stesso e torna agli esordi rock and roll. Da leader del movimento folk diventa una rock star: il guardaroba di Carnaby Street prende il posto dei blue jeans usurati e delle camicie da lavoro.
Con Bringing It All Back Home (1965) arrivano anche gli strumenti elettrici, l’influenza di Chuck Berry e la poesia beat. Per il nuovo Dylan è ora di salpare verso l’Inghilterra. La rocambolesca esibizione di quell’estate al Newport Folk Festival, dove viene pesantemente fischiato, è la molla che lo porta in studio per registrare Positively 4th Street, capolavoro di paranoia e vendetta. La collisione s’è fatta guerra, il movimento folk per Dylan è morto e sepolto. Adesso è il momento di scalare le classifiche. E il momento arriva con il singolo “Like a Rolling Stone”, (secondo negli Usa e quarto in Uk): inno contro l’ipocrisia del benessere sociale.
Continuare è impossibile, la carriera di Dylan è un fiume in piena, un incessante susseguirsi di successi e cadute di stile, concerti e leggende misteriose, di conversioni religiose. Fino a giungere ad oggi: Fallen Angels, 37esimo album in studio in cui rilegge dodici classici del canzoniere Usa e della storia della musica.