Quasi trenta brani che nascono dal Sud delle leggende e delle credenze popolari. Polvere e Ombra, «due concetti che si completano e che nell’insieme dicono molto della natura umana»

E poi c’è Vinicio Capossela a impreziosire il panorama musicale italiano. Cantautore nato ad Hannover, ma irpino per discendenza e accordata cittadinanza d’onore dalla paterna Calitri, che lo vede ideatore e direttore artistico dello Sponz Fest. Anche polistrumentista, scrittore, fantasmagorico entertainer, poi poeta, “collezionatore” di targhe Tenco, che da quasi venticinque anni sorprende in maniera originale, articolando la sua espressione con rimandi allegorici, simbolici e mitologici. Con riferimenti poetici passati, e con il contributo di autori contemporanei, da lui chiamati in causa, dà vita a un’opera autentica, ironica e seriosa al contempo.

Capossela non lascia mai indifferenti e stavolta ci spiazza con un album composto da due parti, due lati: Polvere e Ombra, così titolati, per le Canzoni della Cupa. Quasi trenta brani che nascono dalla terra del Sud, quella delle leggende e delle credenze popolari, per le vie strette di ogni “cupa”. Una vera e propria rappresentazione teatrale, per un lavoro di ben tredici anni. In mezzo tanta vita, professionale e non solo, anche un recente intervento alla laringe, completamente risolto, altra esperienza per lui di conoscenza: «Le corde vocali non hanno terminazioni nervose per cui non percepiamo dolore quando subiamo un trauma. Semplicemente fanno come accadde nelle più nette separazioni amorose: ci si accorge del problema quando la voce oramai se n’è andata, senza più la possibilità di parlare».

Questo articolo continua sul numero 24 di Left in edicola dall’11 giugno

 

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