Londra – Chris e Duncan si fanno trovare alle 8.30 di sabato mattina a Muswell Hill, quartiere residenziale e liberal a nord di Londra. Da questa collina si può vedere tutto il profilo della capitale inglese, nonostante le nuvole basse e l’aria carica di pioggia. I due ragazzi inglesi, 24 e 26 anni rispettivamente, hanno già sistemato il loro banchetto a un angolo della strada, in concomitanza con il mercatino settimanale. Tra uno stand di cannoli siciliani e l’altro di formaggi francesi, ci sono loro: discreti, sorridenti, dalle buone maniere british. Il manifesto che campeggia sul tavolo pieghevole legge “Vote Leave”, vota per uscire, e hanno sacrificato il loro sabato mattina – forse ancora un po’ brilli dalla serata precedente – per volantinare e convincere piú inglesi possibile a votare al referendum del prossimo 23 giugno per far uscire la Gran Bretagna dall’Unione Europea.
«Non mi piace la parola Brexit» confida Duncan mentre fa colazione con una cassatella, comprata allo stand a fianco «mi piace di piú pensare che la Gran Bretagna avrà di nuovo la sua libertà e indipendenza». Da chi? «Dall’Europa» interviene Chris «da quell’accozzaglia di burocrati che ci dicono cosa fare in ogni momento della giornata. Noi non li abbiamo votati e loro devono occuparsi degli affari loro». Secondo i due ragazzi, la partita che si sta giocando può essere incapsulata in un singolo aneddoto. «Immagina che questo sia World of Warcraft» dice Chris, citando un popolare videogioco molto in voga tra i teenager di tutta Europa «noi dobbiamo limitare l’avanzata dell’orda che sta invadendo il nostro Paese». E “l’orda”, manco a dirlo, sono gli europei che ogni giorno sbarcano negli aeroporti inglesi in cerca di un lavoro. «Siete brave persone» continua Chris «ma siete troppi e troppo diversi da noi. Guarda questi italiani» dice Chris puntando il dito verso lo stand siciliano «gridano troppo». E poi «i francesi» rincara la dose Duncan «fanno del buon formaggio ma, detto tra di noi, puzzano un po’».
La copertina di Left in edicola dal 18 giugno
Sulla Brexit trovate un reportage da Dover, dove immigrazione e conservatorismo trascinano il Sì, un’intervista a Vincenzo Visco sulle conseguenze economiche, un’analisi sulla situazione politica di Dario Castiglione e il punto da Londra di Massimo Paradiso (che leggete qui)
Anche se Chris e Duncan non rappresentano di certo tutto lo spettro di opinioni dei supporter del Brexit, è altrettanto vero che il Paese è spaccato a metà proprio su questo punto: immigrazione e lavoro. Sia chi campeggia per l’uscita dall’Ue sia chi propone di restare non è riuscito a dare un’immagine reale di cosa sia e cosa faccia l’Unione Europea. Anche il più strenuo europeista inglese, alla domanda “ma alla fine l’Europa che fa?”, cade nel comune cliché del “ha mantenuto il piú lungo periodo di pace dalla Seconda guerra mondiale” anche se questo ideale sta bruciando nelle banlieue parigine o annegando nelle acque del Mediterraneo.
«Uscire dall’Europa senza un progetto reale ma solo per il gusto di farlo è l’idea piú stupida del mondo» dice Laurie Penny, commentatrice politica e giornalista del New Statesman «ma nessuno delle due parti in gioco, pro o contro Brexit, è riuscita a proporre un storia positiva sul perché dell’Europa. Forse – dice laconica la giornalista – perché una storia positiva in realtà non c’è».
Quello che c’è è una lunga lista di benefici economici, reali o inventati, per riportare alla luce il concetto della vecchia “Britannia”, un ideale caro agli inglesi fatto di un Regno Unito «in bianco e nero, di thè alle cinque e della comicità innocua della televisione di Stato, quando tutti erano bianchi e si lavorava in fabbrica»
Questo articolo continua sul numero 25 di Left in edicola dal 18 giugno