Oggi i ballottaggi, un voto amministrativo che è anche politico. Mentre Pd e 5 stelle si fanno la guerra, su Left quattro brevi scritti - di giornalisti disorientati - per elettori disorientati

Di Virginia Raggi si dice che sarà telecomandanda, anzi “blogcomandata”, da Grillo, e anzi, ancora peggio, dalla Casaleggio Associati. Lo si dice con buone ragioni, perché Raggi ha effettivamente firmato un vincolate e salato contratto con i vertici del Movimento, cui sono affidate tutte “le scelte amministrative” e che potranno cacciarla a piacimento. Quello che i dem non dicono mai, però, è che per Giachetti potrebbe esser lo stesso. Sì è vero – Giachetti potrebbe esser richiamato all’ordine o ricevere indicazioni perentorie su nomine o provvedimenti da un partito, che è una cosa più trasparente e democratica di una società privata. Però. Però questa democrazia non è stata esercitata nella cacciata, ad esempio, di Ignazio Marino che come Giachetti si professava (ed era) indipendente dal Pd. Dai vertici nazionali e locali del Pd, Marino, è stato cacciato: senza bisogno di un contratto, senza consultazioni della base, ma con una lunga ed estenuante campagna stampa e con un susseguirsi di dichiarazioni di autorevoli esponenti nazionali, premier compreso, che ricordano, per certi versi, quelle che il Movimento sta riservando a Federico Pizzarotti, sindaco di Parma.

Di Virginia Raggi si dice poi che non sia di sinistra. È vero: ho passato del tempo con lei, e sono convinto che non sia una donna di sinistra e neanche progressista. Sotto lo strato del giustizialismo, della fede nel sacro web e dell’antipolitica, io ho intravisto una donna di centro (peraltro cattolica): non il mio tipo. È poi vero quello che dice Stefano Fassina, per argomentare la sua scelta verso la scheda bianca: «Non ho mai visto Virginia Raggi correre con me per evitare lo sgombero del Baobab», il centro sociale che accoglieva a Roma i migranti transitanti. «Noi», dice Fassina, «abbiamo invece pagato proprio la difficoltà di andare nelle periferie a spiegare che la colpa disagio è dell’urbanizzazione selvaggia, non certo degli immigrati che vanno accolti con dignità». Non è certo noto per le sue posizioni sul sociale, il Movimento 5 stelle, che anzi raccoglie – e ha alimentato – molti dei frutti della lotta tra poveri. Però.

Però nel corso della campagna elettorale Raggi ha espresso alcune posizioni che possiamo tranquillamente definire di sinistra. In particolare si è detta contraria alla privatizzazione di Atac e favorevole a una nuova gestione, più pubblica, di Acea. Su questo c’è un’intervista a il manifesto che sta girando molto tra i militanti di sinistra. Raggi aveva sicuramente ben chiaro del pubblico a cui sarebbero arrivate quelle parole, che però sono parole importanti: «Non faccio analisi comparative con gli altri candidati, ma ascoltando le proposte di Fassina ho visto che ci sono diversi punti in comune, come l’impegno affinché Atac resti pubblica o la difesa dell’acqua come bene comune. E ancora: la difesa dei nidi pubblici, il diritto all’abitare». E poi: «Se qualcuno tifa per la privatizzazione selvaggia non voti M5S».

Sono parole importanti, soprattutto se lette insieme ai primi nomi trapelati per la giunta: i lettori di Left conoscono bene Paolo Berdini, urbanista della scuola Cederna, Insolera, nemico giurato di Caltagiorne e compagnia. Per l’urbanistica Giachetti chiamerebbe invece Lorenza Baroncelli, giovane, moderna, elegante sì, ma della scuola Boeri, con esperienza sul masterplan di Expo. Vi invito a leggere l’intervista che le ha fatto Gli stati generali: e se capisco che l’idea principale sia quella di un’amministrazione che deve coinvolgere e stimolare gli investimenti privati per rigenerare la città, non capisco proprio gli attacchi a Berdini e il francamente ingeneroso giudizio su Caudo. C’è poi una frase che spero sia dettata solo dal fatto che per anni è stata lontana da Roma, Baroncelli, e che si è occupata di altro: «La domanda non può essere come eliminare i pochi costruttori in città» dice, «ammesso che sia vero che siano stati favoriti». Anche la posizione sulle Olimpiadi (seppur meno netta: Di Maio qualche mese fa si diceva favorevole) è interessante: a Roma non servono grandi opere ma ricuciture dice in sostanza Raggi che però – senza rivendicare l’incertezza e risultato così ambigua – non esclude che, con un buon progetto, le Olimpiadi si possano prima o poi cercare.

C’è il tema dell’inesperienza, questo sì, e dell’improvvisazione. Il bello per chi non li ha votati al primo turno però, è che ce ne si potrà lamentare ogni giorno, dall’opposizione, usando l’argomento, finalmente, per dire che è tutta la retorica sul cittadino in politica, tutta la retorica contro il politico di professione, ad esser sbagliata. E il sindaco di Roma ne sarà la dimostrazione. È proprio scorretto, invece – è poi finisco le battute – ricordare – argomento efficace a sinistra – la figuraccia dei 5 stelle sulle unioni civili: fortunatamente non è competenza di un sindaco, soprattutto adesso che c’è una legge nazionale, che Raggi ha già detto che non potrà che applicare.

Con mille dubbi, insomma, ma la tentazione è forte. E per chi cede, noi non crediamo nei peccati.

Questo articolo continua sul numero 25 di Left in edicola dal 18 giugno

 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.