Nel Pd ci si prepara alla direzione di venerdì, grande rito pubblico per emedarsi delle colpe e trovare la “quadra” in un partito che ha perso la metà dei Comuni che fino a ieri amministrava

Ora tutti ammetono che ha vinto il Movimentio 5 stelle. «Bravi, siete stati bravi» gli dicono, Renzi in testa. È un rito salvifico: ora mostrateci cosa sapete fare. Perché governare, no, non si improvvisa e alla fine quei voti torneranno al Pd, torneranno alla destra. Non dovrebbero esserne così sicuri, almeno non così presto quanto immaginano. Perchè il tallone d’achille del nostro sistema politico istituzionale non è il Parlamento che frena o la mancanza di ricambio al vertice della “casta”, mali succedanei. No, la questione dirimente è proprio l’incapacità di governare. Per mancanza di programmi, di visione lunga, di mestiere e di efficienza dei partiti al tempo della seconda Repubblica.

Può darsi allora che poche mosse grilline – mandare in procura (per un controllo) gli atti amministrativi delle precedenti gestioni, frenare gli entusiasmi pro banche e banchieri (come sta facendo Appendino a Torino) e magari presentarsi la mattina nelle sedi dei vigili urbani, in quelle delle società per la raccolta dei rifiuti o dei trasporti urbani, dare un’occhiata agli appalti per la manutenzione delle strade – può darsi che tali atti ordinari bastino per parecchi mesi a dare l’impressione di un governo delle città, almeno giudizioso.

Nel Pd ci si prepara alla direzione di venerdì, grande rito pubblico per emedarsi delle colpe e trovare la “quadra” in un partito che ha perso la metà dei Comuni che fino a ieri amministrava: erano 90, sono 45. Bersani concede un’intervista al Corriere della Sera. Si dice «amareggiato» per la sconfitta di Renzi. E invece che «resistere, resistere, resistere», slogan lanciato a suo tempo dal procuratore Borrelli, dice «reagire, reagire, reagire»: salvare la ditta e pure il rottamatore. L’asticella che pone a Renzi è molto bassa: «Accettare una discussione sul profilo del governo». Non prende nella polemica Speranza-Cuperlo, se si debba o no chiedere a Renzi di lasciare la segretaria del partito. Si limita a ricordare che a lui lo chiese Matteo di non esercitare il doppio incarico. Cuperlo, sentito dalla Stampa, chiede di cambiare l’Italicum.

Con spirito di collaborazione, perché – dice – «vorrei che Renzi riflettesse su una strategia che può condurre la sinistra a una sconfitta drammatica». Sono così prudenti forse perché temono che Matteo Renzi non abbia deposto «il lanciafiamme» e che voglia sostenere in direzione di aver perso «per non aver fatto abbastanza il Renzi», come ha già detto alla sua retroscenista Maria Teresa Meli, parlando di sé in terza persona. Tutto sommato, il disagio più grave è tra i renziani, da sempre o di complemento. Caduto il mito dell’invincibilità del capo, smaltita la sbornia per il 41% di due anni fa, si chiedono: ma che ci stiamo a fare? Fassino dice che non guiderà l’opposizione ad Appendino, poi dà un buffetto a Renzi: «Devi ascoltare di più». Emiliano affila le armi. Orlando, Martina e Rossi cercano un leader. E se fosse Pisapia?