Le conseguenze della Brexit, votata il 23 giugno nel Regno Unito, preoccupano molto scienziati e ricercatori inglesi anche per l’effetto che avrà sulle assegnazioni dei fondi europei alla ricerca. E preoccupa in modo particolare i giovani ricercatori che vengono da altri Paesi europei e che hanno contratti in scadenza o comunque posizioni precarie. Prima del voto Nature aveva fatto un sondaggio fra gli scienziati annunciando il “no” alla Brexit da parte dell’83% dei ricercatori inglesi. Dati confermati dalle prime analisi del voto da cui emerge che soprattutto le persone con livelli di sitruzione più bassi si sono espressi per l’uscita dall’Unione europea, mentre gli strati più colti e informati della popolazione,hanno votato in gran parte “remain”.
A far notizia è stato soprattutto Stephen Hawking che, analogamente al Nobel Peter Higgs ( che ha teorizzato il Bosone), ha definito la Brexit «un atto disastroso per la ricerca e le università in generale». Sulla stessa linea i centocinquanta componenti della prestigiosa Royal Society dell’università di Cambridge.
Il voto a favore della Brexit, in concreto, mette a rischio la possibilità britannica di accesso ai fondi messi a disposizione dall’Unione per la ricerca.
L’Inghilterra è leader nella ricerca scientifica e il Paese che guidato da Cameron (che ha annunciato le dimissioni dopo l’esito del voto) fin qui, era al primo posto per numero di progetti approvati. Dal 2007 al 2013 il contributo ricevuto dai britannici è stato di 8,8 ai ricercatori inglesi, mentre il Regno Unito ha versato al fondo comunitario 5,4 miliardi di euro. I flussi di denaro provenienti dall’Ue sono più di un quarto della spesa interna inglese per la ricerca e lo sviluppo.
Come è noto, il sistema di ricerca europeo favorisce la collaborazione e lo considera tra i requisiti fondamentali per l’assegnazione dei fondi. E anche per questo la Brexit peserà sulla comunità scientifica inglese, che per altro ha livelli molto alti di produzione di letteratura scientifica anche perché, oltre ai propri laureati, ha a disposizione ricercatori e scienziati immigrati. Le stime dicono che il 15 per cento dei ricercatori che operano in Inghilterra provengono dall’estero. Cosa accadrà loro e ai ricercatori precari o con contratto in scadenza? Se dovessero tornare a casa sarebbe un grave danno anche per l’Inghilterra. Alcuni sostengono che potranno continuare a collaborare anche con la Gran Bretagna fuori dall’Europa, grazie ad un accordo ad hoc, simile a quello che ha la Svizzera.
Di fatto la burocrazia per chi opera fra Inghilterra e l’Europa aumenterà. Nuovi e più complicati scenari si profilano, per esempio, dal punto di vista del diritto digitale; ci saranno probabilmente molte complicazioni che riguardano la normativa sulla privacy se il Regno Unito non si conformerà più alla legge unitaria condivisa da tutti e 28 Paesi che fanno parte dell’Unione Europea. Oppure pensiamo a cosa potrebbe accadere nel commercio elettronico se la normativa non fosse più quella condivisa dalla Ue. E ancora pensiamo alle maggiori complicazioni che potrebbero incontrare le start up che oggi in grande numero scelgono di avere una base in Inghilterra.Che in futuro potrebbe risultare molto meno appetibile per le imprese.
Anche per questo il fisico Carlo Rovelli, diventato popolare con le sue Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi) diventate un best seller commenta così la decisione inglese pro Brexit sul suo account facebook : «Mi dispiace molto per gli amici inglesi, che preferiscono insularità alla collaborazione; è una loro scelta». E poi aggiunge, con spirito positivo: «prendiamola come un’opportunità e facciamo una Europa unita. E’ in gran parte a causa dell’Inghilterra che avevamo fallito finora».