Dopo un anno di attesa la legge sul reato di tortura torna in seconda lettura al senato. Dove viene in parte svuotata e depotenziata dalle destre. Basta: sono da quasi 30 anni che il nostro Paese aspetta di avere un'adeguata legislazione sul reato di tortura.

Volano gli stracci in Commissione Giustizia del Senato tra il Partito democratico e gli esponenti di Forza Italia e Ala. La tensione è scoppiata quando uno dei relatori, Enrico Buemi (Pd) ha accolto la proposta del Movimento 5 stelle di cambiare la formula «violenze reiterate» per inquadrare a livello legislativo cosa possa essere definito come tortura. Immediata è stata la reazione degli esponenti forzisti, in particolare del berlusconiano Francesco Nitto Palma, che ha minacciato ostruzionismo in aula. Dura la reazione anche di Ciro Falanga (Ala) che chiede che l’esame venga rinviato di una settimana per permettere ai relatori di subemendarlo. Decisione poi accolta.

Ma a che punto siamo con la legge sul reato di tortura? Il provvedimento, dopo uno stallo durato un anno, è approdato nuovamente a palazzo Madama giovedì 7 luglio, a pochi giorni dall’anniversario dei 15 anni del G8 di Genova. Il testo era già stato approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati nell’aprile del 2015, e dal Senato nell’autunno del 2014.

Nell’ultimo esame della Camera il testo era stato rivisto e migliorato rispetto a quello approvato al inizialmente Senato. Ma ora il provvedimento rischia di essere in parte «svuotato» e la definizione di tortura di essere resa più «fumosa» dalle destre. In particolare sono due i punti contestati. Innanzitutto nella prima versione della legge si parlava di «violenze e minacce» per inquadrare il reato di tortura, mentre nell’ultima si parla apertamente di «minacce gravi e violenze reiterate», quasi a sottolineare che senza i criteri – difficilmente definibili e inquadrabili – della gravità e della reiterabilità, le violenze non sarebbero classificabili come «torture». In secondo luogo il testo del Senato parla di «verificabile trauma psichico», al posto della prima versione del testo che parlava di «acute sofferenze psico-fisiche». «Ma i traumi psichici sono difficilmente verificabili nel breve periodo, e difficilmente dimostrabili» dice Andrea Oleandri, membro di Antigone, l’associazione che promuove la cultura dei diritti nel sistema penale. Antigone sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione per far approvare la legge. Luigi Manconi, senatore Pd e Presidente della Commissione diritti umani del Senato, ha detto, intervistato da Linkiesta: «Credo che le modifiche siano un’inserzione scellerata, una scelta politica del ministro dell’Interno sollecitato da alcune rappresentanze sindacali delle forze di polizia». «Oramai è urgente approvare il reato di tortura, che l’Italia aspetta da quasi 30 anni. La legge non è perfetta, e presenta molti punti deboli, ma sarebbe comunque un passo in avanti» sostiene Oleandri, «dopo la sua approvazione al Senato, il testo tornerebbe alla Camera e sarebbe nuovamente modificato, in un ping pong istituzionale infinto che la rinvierebbe in continuazione senza che venga approvata entro la fine della legislatura. É da tre legislature di fila che ne aspettiamo l’approvazione». Antigone per questo chiede al governo di apporre al testo un «emendamento governativo per dove chiedere la fiducia alla Camera dei deputati per far approvare il testo del Senato» conclude Oleandri.

L’Italia ha ratificato la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite nel 1988, quasi trent’anni fa. Ne sono passati 25 da quando il Parlamento ha cercato di inserire il reato di tortura all’interno dell’ordinamento penale italiano, senza essere mai riuscito a raggiungere un accordo tra le forze politiche. Siamo stati più volte richiamati dalle istituzioni europee e internazionali per non aver introdotto il reato all’interno del nostro ordinamento e per non aver, più volte, punito i responsabili di crimini di tortura. La Corte di diritti umani Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia, nell’aprile del 2015, per il pestaggio della polizia nei confronti dei manifestanti durante l’irruzione alla scuola Diaz al G8 di Genova del 2001. Il ricorso fu presentato da Arnaldo Cestaro, manifestante veneto all’epoca 62enne, vittima del pestaggio della polizia durante l’irruzione alla sede del Genoa Social Forum. Quello che successe a Genova è stata definita dalla Corte «la più massiccia violazione dei diritti umani in Europa dalla seconda guerra mondiale». I colpevoli, nonostante le condanne, non sono punibili per le torture, non contemplando il nostro ordinamento tale reato. Alcuni di loro sono stati condannati per falso aggravato. Altri sono stati assolti. Altri ancora sanzionati dal Capo della polizia per 47 euro virgola 57 centesimi.