Ma questo referendum costituzionale esattamente cosa sta diventando? È la pallina anti stress di un’opposizione che blandamente si oppone? È l’esercizio retorico di noi che lavoriamo con le parole e partecipiamo al Circo Barnum girando per il Paese provando a iniettare un po’ di serotonina politica? È la scenetta di chi vorrebbe governare e poi non sa compilare i moduli? Andiamo con ordine.
I primi dati dicono che per il referendum sulla riforma Boschi di ottobre (o novembre, o dicembre o quando a Renzi parrà maturo) il Comitato del Sì (il Pd, per intendersi) ha raggiunto le 500.000 firme necessarie mentre il Comitato del No (il resto del mondo, per intendersi) si è fermato a 300.000 e consegnerà gli scatoloni, dicono, come “gesto simbolico”. Simbolico di cosa poi, se non di inettitudine, è tutto da capire.
In modi spicci si può dire che Renzi e il suo tribolatissimo partito sono riusciti a fare ciò che l’appuntitissimo Movimento 5 Stelle, la roboante Lega salviniana, l’archeologica sinistra italiana e destrorsi vari non riescono a raggiungere nemmeno sommandosi. 300.000 firme, per intendersi, sono meno di quanto Civati e Possibile (praticamente in solitaria) l’anno scorso sono riusciti a raccogliere sui quesiti referendari per Jobs Act, Italicum e Buona Scuola. Per dire.
La sensazione è che l’occasione del referendum per molti si limiti alla possibilità di qualche agenzia stampa in più, a qualche goccia di antirenzismo a casaccio o a qualche foto in posa da difensori della Costituzione mentre in gioco c’è il futuro equilibrio della democrazia del Paese. Questo referendum è un’occasione politica per proiettare un’idea di Paese: in bene o male. E finora non è un granché.