Lo scorso maggio i mezzi navali Micoperi 30 e la Osv Remas attraccavano a Giglio Porto. La missione dei due equipaggi era portare a Punta Gabbianara sommozzatori e mezzi specializzati, in modo da avviare l’ultima delicatissima fase di bonifica del sito in cui si è inchinatala Concordia e riportare i fondali allo stato precedente, come richiesto dalla normativa ambientale. A spese di Costa, o meglio delle sue assicurazioni. I tecnici della Micoperi Spa, l’azienda ravennate eccellenza italiana che raccoglie commesse in tutto il mondo, erano pronti. Con l’ausilio di un macchinario denominato “sorbona” avrebbero aspirato gli ultimi detriti e i sedimenti presenti là dove l’enorme nave da crociera si era incagliata il 13 gennaio 2012, la notte del disastro in cui persero la vita 32 persone.
Per completare il lavoro iniziato a gennaio 2015, l’azienda che si è aggiudicata la gara per ripulire il fondale potrebbe però aver causato un danno “collaterale” di dimensioni significative all’ecosistema. Sarebbe l’ennesimo schiaffo per il piccolo centro dalla grande vocazione ecologica e da sempre meta di turismo internazionale. A Cala Cupa, una delle aree sottomarine di maggior pregio di tutto l’Arcipelago Toscano, tra le gorgonie e i coralli c’è un cavo di acciaio di 10 centimetri di spessore. E appoggia proprio sulle rocce dove cresce il “falso corallo nero” (il cui nome scientifico è Gerardia savaglia), tutelato dalla direttiva Habitat del ’92 e dalla Convenzione di Barcelona per la protezione del Mar Mediterraneo. È una specie rara, che si sviluppa nel coralligeno, oggetto di studi da parte dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e presente in alcune aree marine protette.
Come chiarisce l’Agenzia per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) in una relazione di poco successiva al naufragio, il punto in cui si è verificato l’incidente rappresenta una zona estremamente vulnerabile, con fondali “caratterizzati da specie ad elevato interesse ecologico e biologico”, quali il coralligeno e la Poseidonia oceanica. Il cavo di acciaio che sta sollevando grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori ha lo scopo di ormeggiare la Micoperi 30, un “pontone” impegnato nelle operazioni di pulizia del fondale di Punta Gabbianara. «Quel cavo non dovrebbe essere lì» dice a Left Gianni Vettore, titolare dell’International diving, che da più di 10 anni si occupa di immersioni nell’isola. A fine maggio si è imbattuto per caso in questo “danno collaterale”. «Così lo hanno chiamato quando ho sollevato il problema. Il responsabile della Micoperi (Davide Barizza, ndr) aveva detto che avrebbero fatto qualcosa, ma finora è rimasto tutto come prima. Anziché appoggiare il cavo sulla roccia, avrebbero dovuto sollevarlo e farlo passare in corrispondenza all’area di Cala Cupa senza “incocciare” sulla roccia 30 metri sotto la superfice. Invece adesso ha già iniziato a strappare il coralligeno. È una zona importantissima, tutelata dalle norme dell’Unione Europea. Trovo assurdo che dopo che ho sollevato il caso alle varie autorità non si sia mosso nulla, se non ventilare l’ipotesi di chiudere l’area». Il rischio è che, area chiusa o meno, il danno aumenti di giorno di giorno. Secondo i sommozzatori che vivono sull’isola, la colonia di coralligeno che ricopre l’area ha impiegato almeno 10-12 anni a svilupparsi nel tratto di mare di Cala Cupa. Se venisse estirpata o strappata in parte per un errore o un calcolo sbagliato, sarebbe una perdita quasi certamente irreversibile. Nonostante i numerosi tentativi di conoscere la loro posizione sulla questione, Ispra e Cibm (il Centro interuniversitario di Biologia marina ed ecologia applicata che, su mandato di Costa, invia i report quindicinali sullo stato di avanzamento del cantiere all’Osservatorio di monitoraggio) non hanno fornito un parere sul paventato rischio ambientale causato dall’ormeggio della Micoperi 30 a Cala Cupa.
Il sindaco del Giglio, Sergio Ortelli, ci consiglia di parlare con i membri dell’Osservatorio di monitoraggio (Arpat e Ispra, in primis). «Non è la prima volta che la Micoperi 30 arriva nell’isola» aggiunge, «l’avrà autorizzata la Capitaneria». La Capitaneria però non ha rilasciato dichiarazioni in merito. Dal canto suo, la presidente dell’Osservatorio di monitoraggio, Maria Sargentini, assicura la massima attenzione sulla questione e spiega che «esistono due ordini di problemi: il primo riguarda la sicurezza delle attività di diving, il secondo è di carattere ambientale». Sargentini conferma che «la Capitaneria sta provvedendo a chiudere l’area ai sub» per garantirne la sicurezza e sul fronte ambientale conferma che il rischio causato dal cavo di ormeggio che striscia sulla roccia è stato segnalato all’Osservatorio il 23 giugno. Ma aggiunge: «Micoperi ha circostanziato l’impossibilità tecnica di porre misure di rimedio come lo spostamento dell’ormeggio in un altro sito. Al momento insomma non ci sono alternative. Il massimo rischio sul coralligeno è dato dall’eventualità che il cavo possa andare in bando (cioè non sia completamente teso, ndr). Le indicazioni che abbiamo dato sono proprio di evitare che questo succeda, tenendo il cavo sollevato in modo che non strofini sulla roccia dove è presente il coralligeno». Per quanto il personale della Micoperi 30 si impegni a tenere teso il cavo, però, «il problema è che la riuscita di questo rimedio dipende dalle correnti» riprende la presidente dell’Osservatorio, garantendo che sarà rimosso appena termineranno le operazioni di pulizia in quell’area.
Resta solo da vigilare e sperare che intanto non si verifichino eventi inattesi. Un altro danno ai fondali sarebbe la conferma di un’impressione ricorrente per molti abitanti del Giglio: che il fantasma della Concordia non si sia ancora allontanato dall’isola. Certo, sulla terraferma i problemi più sentiti non sono quelli strettamente ambientali, ma quelli economici. «L’anno scorso c’è stata una piccola ripresa, segno che la crisi sta finendo» racconta Aldo Baffigi, titolare di un altro diving, «ma quest’anno, almeno per ora, la stagione turistica non è decollata. Rispetto ai primi tempi dopo il naufragio le cose vanno meglio, all’inizio noi di Campese abbiamo sofferto di più. Nel 2012, l’estate dopo l’incidente, una comitiva di turisti ha disdetto in massa, nonostante la nave fosse dall’altra parte dell’isola». A Giglio Porto, come testimoniato dalle migliaia di fotografie scattate dai turisti “mordi e fuggi” e diffuse sui social media, almeno si andava a vedere il relitto della nave. La località di Giglio Campese invece era meta del turismo affezionato e di chi voleva davvero visitare l’isola. «La comunità del Giglio non ha mai sofferto come in questi quattro anni», commenta il sindaco Ortelli. «Il turismo fidelizzato ha cambiato aria, spaventato dalle ipotetiche conseguenze dell’incidente, mentre paradossalmente il nostro mare in questi anni è stato il più monitorato ed è risultato il più pulito. Adesso che la fase critica sembra superata, ci vorranno almeno altri quattro anni per ricostruire il rapporto con il “nostro” turismo».
Sono passati due anni dalla partenza della Costa dall’isola (salpata da Giglio Porto alla volta di Genova il 23 luglio 2014) e 4 anni e mezzo dal terribile 13 gennaio 2012. Si sperava di poter voltare pagina prima dell’estate, ma il cantiere ha accumulato ritardi tecnici e la data inizialmente prevista per la sua conclusione (marzo 2016) è già passata. «Vorremmo andare avanti» riprende il sindaco, «ma sopportiamo questa condizione con spirito di responsabilità. Anche perché i tecnici stanno lavorando per restituirci il fondale nelle condizioni migliori. Magari non saranno quelle precedenti al naufragio, ma prima o poi la natura farà il resto».
La presidente Sargentini ammette che Micoperi è in ritardo, ma sembra rassegnata al dato di fatto, per via dei problemi tecnici di questi mesi. «La conclusione era prevista per marzo. Ora la stanno spostando a fine anno. Era prevedibile che una cosa del genere potesse succedere», è il suo commento. «Speravo che questa fase diciamo “invasiva” si chiudesse il prima possibile, magari entro giugno, però il lavoro fatto finora è stato molto accurato, sia da parte della Micoperi che da parte del Consorzio Cibm di Livorno, che tra l’altro ha presentato un progetto per il reinsediamento della Poseidonia che mi sembra vada nella giusta direzione».
Quest’estate, come le precedenti, sarà quindi segnata dalla presenza di cantiere, tecnici e sommozzatori al lavoro per la bonifica. La fase appena iniziata riguarda la rimozione dei sedimenti dal fondale: materiali di vario tipo, come il calcestruzzo fuoriuscito dai grout bags (i materassi di cemento su cui è stata adagiata la Concordia prima di raddrizzarla) e le polveri di granito che derivano dalla perforazione del fondale causata dall’incagliamento e dalle operazioni di raddrizzamento. Il timore è che la data di conclusione lavori continui ad allontanarsi e che il ripristino definitivo dei fondali tanto amati dai sub di mezzo mondo resti per altri anni soltanto una chimera.
L’articolo è stato pubblicato sul numero 28 di Left