Radiografia dello stato delle ferrovie: convogli sono spesso vecchi, infrastruttura arretrata, lavoratori delle piccole aziende ostaggio della proprietà. E la sicurezza dei passeggeri rischia di farne le spese

Alla stazione di Salerno i passeggeri aspettano nel sottopasso, al riparo dalla pioggia. Il treno per Cosenza proveniente da Napoli delle 13.12 è in ritardo di 60 minuti. L’Intercity precedente ne ha accumultati 90: un guasto alla linea elettrica della Napoli-Roma che ha provocato disagi sia per l’alta velocità che per i regionali. Quando arriva al binario il convoglio è già pieno; il capotreno fischia subito per ripartire e recuperare qualche secondo prezioso. I viaggiatori arrancano con le valigie, guardano dai finestrini per cercare qualche posto libero. «Non voglio stare nelle prime carrozze – dice una donna ad un’amica prima di salire – vado in quelle centrali, mi sento più al sicuro». Frasi dello stesso tenore le pronunciano prima un pensionato al telefono con il figlio, poi una mamma in viaggio per raggiungere la Calabria. «Meglio non in coda – dice -: se succede un tamponamento?». Le rassicurazioni, le spiegazioni e la certezza che gli oltre 16mila chilometri di binari italiani gestiti da Rete ferroviaria italiana siano tra i più sicuri d’Europa e del mondo, non bastano a rasserenare chi viaggia: le immagini della strage dei treni in Puglia del 12 luglio scorso fanno ancora paura. Le lamiere accartocciate, le 23 vittime dello scontro frontale e i 50 feriti, le storie di chi ha perso la vita mentre tornava a casa, andava a scuola o al lavoro corrono veloci sulle banchine delle stazioni italiane. Così anche in Sicilia, negli stessi giorni, una studentessa di filosofia diretta a Messina da Taormina chiede al capotreno: «Può succedere un incidente come quello in Puglia anche qui?». «No – risponde Michele Barresi, ferroviere e segretario dell’Orsa trasporti Messina -, in Sicilia siamo lenti ma sicuri». E lo conferma anche Rfi, ricordando i 10 miliardi di investimenti, dal 2000 ad oggi, per dotare la rete nazionale della tecnologia adatta: gli ormai famosi sistemi Ermts, Scmt e Ssc, dispositivi che riescono a bloccare la corsa di un convoglio quando le regole o i segnali non vengono rispettati.

Lavoratori sotto ricatto
La tragedia pugliese, lo scontro tra i due treni locali fra Andria e Corato, è avvenuta invece su una tratta privata, non gestita da Rfi ma data in concessione dallo Stato alla società Ferrotramviaria spa, che si occupa del trasporto pubblico del Nord Barese. «Parlare di errore umano è riduttivo», hanno più volte detto gli inquirenti con l’inchiesta della procura di Trani che ha iscritto nel registro degli indagati, per ora, 6 persone. Nel tratto della strage tra gli ulivi secolari la tecnologia ancora non è arrivata e i treni viaggiano con l’ormai famoso “blocco telefonico”, la comunicazione via telefono del via libera tra due capistazione sul binario unico. Un sistema vecchio di sessanta anni che viene utilizzato su circa 600 chilometri di binari italiani dati in gestione a imprese pubbliche o private locali.
«Un’arretratezza tecnologica frutto anche del ricatto occupazionale che spesso avviene nelle imprese private del trasporto ferroviario» accusa però Michele Formisano, segretario generale del sindacato Orsa. Insomma, secondo l’Orsa nelle aziende lontane dal colosso Ferrovie dello Stato le lotte dei lavoratori sono più difficili da portare avanti, quindi ne risente l’organizzazione del lavoro e ne paga le conseguenze anche chi su quei treni ci viaggia. «Succede che rappresentanti sindacali si dimettano dopo 48 ore dalla nomina» attacca Formisano. «In molte imprese o accetti le condizioni del lavoro così come sono oppure ti fanno capire di poterti sostituire con schiere di persone in cerca di lavoro. Con questo clima fare denunce e portare avanti battaglie sindacali è molto più complesso». Dal 2006 ad oggi i sindacati hanno chiesto, su tutte le tratte italiane, sistemi di sicurezza che controllino la marcia del treno e proteggano passeggeri e lavoratori: «Noi non facciamo distinzioni tra linee principali o secondarie – spiega Formisano – chiediamo la stessa sicurezza ovunque e in tutte le imprese: abbiamo scioperato dalla Lombardia alla Campania fino alla Puglia».

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