Il 29 luglio di trentatré anni fa moriva Chinnici e a rileggerlo oggi sembra che stia parlando oggi. Bisognerebbe cambiare le commemorazioni, forse, smettendo di commemorare la memoria e iniziare ad esercitarla; così potremmo rispettarli, i morti.

«[…] sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c’è un fatturato di droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani.
Il rifiuto della droga costituisce l’arma più potente dei giovani contro la mafia.
»

Sono le parole di Rocco Chinnici intervistato da Pippo Fava. Era il 1983 e Chinnici sarebbe morto da lì a poco, con una Fiat 126 imbottita da 75 chili di tritolo sotto casa sua. Il 29 luglio di trentatré anni fa moriva Chinnici e a rileggerlo oggi sembra che stia parlando oggi.

«La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. […] La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Se lei mi vuole chiedere come questo rapporto di complicità si concreti, con quali uomini del potere, con quali forme di alleanza criminale, non posso certo scendere nel dettaglio. Sarebbe come riferire della intenzione o della direzione di indagini.»

Io non so se capita anche a voi ma quando è l’anniversario di qualche vittima di mafia mi prende un sentimento di sconforto: se le analisi di qualche decennio fa sono plausibili anche rapportate al nostro presente significa che la strada da percorrere è lunghissima e che le loro idee sono rimaste sotto traccia. Bisognerebbe cambiare le commemorazioni, forse, smettendo di commemorare la memoria e iniziare ad esercitarla; così potremmo rispettarli, i morti.

Buon venerdì.