Questo articolo continua su Left in edicola dal 3 settembre
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Da Ventotene, isola di deportati antifascisti, si progettano nuove deportazioni di profughi in Africa. Dalla portaerei Garibaldi, nave da guerra a capo dell’operazione militare Eunavfor Med, tre leader europei in cerca di legittimazione popolare confermano la guerra ai migranti, per frenarli a tutti costi, in loco. Tramite accordi con Paesi terzi, che non garantiscono alcuna protezione, anzi dove i migranti vengono arrestati, torturati, uccisi. Sullo sfondo, in vista del prossimo Consiglio europeo “informale” che si terrà a Bratislava il 16 settembre, la promessa di Renzi di ottenere dagli altri Paesi europei, sulla scorta degli impegni presi dalla Germania, una nuova fase della relocation, già fallita in partenza.
L’accordo tra Unione europea e Turchia raggiunto per fermare i profughi siriani (e rimpatriarli sotto le bombe) diventa il modello da seguire. E si pensa già di replicarlo in Libia, anche se il Paese rimane spaccato in tre parti. Si tratta di una completa inversione del sistema di valori sui quali si fondava l’idea federalista dell’Europa nel Manifesto di Ventotene. Una politica delle relazioni esterne europee che non potrà che portare ad altre guerre e alla decimazione dei migranti in transito, via terra e via mare, verso l’Europa.
Nel corso del semestre di presidenza dell’Ue, nel 2014, l’Italia aveva già lanciato il Processo di Khartoum, che tendeva a trasferire sui Paesi subsahriani, di transito e di origine, il compito di “difendere” le frontiere europee, ormai “esternalizzate”, di fronte a un crescente afflusso di migranti, aumentando i controlli anche attraverso l’agenzia Frontex, e compiendo operazioni di respingimento verso i Paesi di origine.
Renzi e il governo italiano, spalleggiati come sempre dalla commissaria Ue Mogherini, con la nuova formula magica del “Migration compact”, hanno messo a lavoro le diplomazie per concludere nuovi accordi con dittature africane, come il Sudan, governato da un noto ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di genocidio nel Darfur, come il regime eritreo, accusato di crimini contro l’umanità, o come il Gambia, dove gli oppositori politici muoiono in carcere. A questi regimi, che opprimono la propria popolazione, su commissione dell’Ue viene affidato l’incarico di bloccare alle loro frontiere i migranti in transito o in partenza. Le misure previste ricalcano il modello degli accordi di Berlusconi e Maroni nel 2009 con la Libia di Gheddafi, sul principio della «condizionalità migratoria»: in sostanza, ingenti finanziamenti europei e forniture tecniche e militari ai Paesi di origine o di transito, per contrastare le partenze dei cosiddetti “clandestini”; collaborazione attiva da parte delle polizie nell’identificazione dei migranti giunti in Europa, anche se poi nessuno garantisce il rispetto dei diritti delle persone respinte, espulse, oppure riprese in mare e ricondotte nei porti o nelle celle di partenza. Uno “scambio” tra persone migranti e armamenti e soldi, basato su una rete di rapporti commerciali dominati dalla corruzione, un uso distorto della cooperazione internazionale, finalizzata al blocco della mobilità umana.
Quella a cui si assiste, dunque, è una preoccupante negazione del riconoscimento del diritto di asilo in Europa, anche attraverso l’introduzione surrettizia di una “lista di Paesi terzi sicuri”, verso cui respingere anche chi presenta una domanda di asilo. Una proposta che non arriva a diventare una misura legislativa vincolante per gli Stati, ma che, per linee dettate dai vertici dell’esecutivo, viene assunta come criterio generale di valutazione delle richieste di asilo, sotto l’impulso dell’Easo, l’Ufficio europeo che dovrebbe supportare i Paesi in difficoltà con le richieste di asilo, e che invece impone criteri sempre più restrittivi.
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