In dieci anni, che coincidono più o meno con l'inizio della lunga crisi che attanaglia l'Europa, il numero di persone residenti è aumentato del 54%, passando da tre milioni a 4,8 milioni, il 7,9%

Sarà la libertà di movimento in Europa e una generazione che percepisce la mobilità come normale e positiva, sarà la crisi o sarà che all’estero il lavoro che si trova è migliore e spesso più stabile e meglio pagato. Ma secondo i dati presentati dalla fondazione Migrantes sulle iscrizioni all’Aire, l’Anagrafe dei residenti all’estero, il numero di persone che lasciano l’Italia continua a crescere. I nuovi residenti all’estero nel 2015 erano 107.529, 56,1% tra questi erano maschi e la stragrande maggioranza, quasi 70mila, appartengono alle classi d’età tra i 18 e i 49 anni – quasi trentamila tra 35 e 49, segno di una voglia/necessità di partire che non riguarda solo i giovani in ingresso nel mercato del lavoro.

In dieci anni, che coincidono più o meno con l’inizio della lunga crisi che attanaglia l’Europa, il numero di persone residenti è aumentato del 54%, passando da tre milioni a 4,8 milioni, il 7,9% della popolazione. Naturalmente, molti tra costoro sono gli emigranti di vecchia data, ma il milione e 800mila persone in più sono una nuova generazione che parte. Da segnalare: chi rientra lo fa soprattutto verso le regioni del Nord e le grandi città. A livello provinciale, i rimpatri avvengono principalmente verso Firenze, Roma, Milano, Torino, Napoli. Segno di un territorio che resta diviso – in senso di opportunità offerte dal mercato del lavoro – sia in termini geografici (nord-sud) che dal punto di vista centro-periferia.

Certo, l’emigrazione non è più la stessa di un tempo: ci sono i voli low cost e le videochiamate, la globalizzazione dei prodotti e una qualche conoscenza di quel che si troverà nel luogo in cui ci si trasferisce. Il tema è quindi, piuttosto, quello di un Paese che perde parti importanti senza attrarre immigrazione qualificata – cosa che Paesi più dinamici e capaci di sviluppare politiche in tal senso sanno fare e fanno.

Nella sintesi del rapporto Migrantes leggiamo:
Al 1 gennaio 2016 gli iscritti all’AIRE sono 4.811.163, il 7,9% dei 60.665.551 residenti in Italia secondo il Bilancio demografico nazionale dell’Istat aggiornato a giugno 2016. La differenza, rispetto al 2014, è di 174.516 unità. La variazione – nell’ultimo anno del 3,7% – sottolinea il trend in continuo incremento del fenomeno non solo nell’arco di un tempo, ma anche nell’intervallo da un anno all’altro. Le principali caratteristiche sono così riassumibili.
• A livello continentale, oltre la metà dei cittadini italiani (+2,5 milioni) risiede in Europa (53,8%) mentre oltre 1,9 milioni vive in America (40,6%) soprattutto in quella centro-meridionale (32,5%). In valore assoluto, le variazioni più consistenti si registrano, rispettivamente, in Argentina (+28.982), in Brasile (+20.427), nel Regno Unito (+18.706), in Germania (+18.674), in Svizzera (+14.496), in Francia (+11.358), negli Stati Uniti (+6.683) e in Spagna (+6.520).
Il 50,8% dei cittadini italiani iscritti all’AIRE è di origine meridionale (Sud: 1.602.196 e Isole: 842.850), il 33,8% è di origine settentrionale (Nord Ovest: 817.412 e Nord Est: 806.613) e, infine, il 15,4% è originario del Centro Italia (742.092).

Il numero di persone che lasciano le regioni del Sud per il Centro-nord cala leggermente ma appare molto alto: nel 2008 erano 81mila a cambiare regione, mentre nel 2014 72mila. In questo caso maschi e femmine cambiano casa sostanzialmente in percentuali simili. Nello stesso periodo aumentano – in controtendenza con gli altri gruppi –  i laureati che lasciano il Mezzogiorno.

Infine, e a proposito di Brexit, ci sono circa ventimila italiani di origine bengalese che si sono trasferiti in alcuni quartieri di Londra e Birmingham, dove la comunità bengalese-britannica è radicata, strutturata e molto grande. Sarà contento Salvini. Meno Theresa May, la leader conservatrice che ha promesso di ridurre i flussi migratori dall’Europa.