Lo speaker Paul Ryan e il primo giornale evangelico scaricano il miliardario newyorchese. Trump reagisce con insulti. E il partito repubblicano non sa che direzione prendere. Obama contro Trump

«Non ha la capacità, la conoscenza e neppure la voglia di imparare per il lavoro che vorrebbe fare. E questo era vero anche prima che sentissimo le cose che abbiamo sentito qualche giorno fa. Non devi essere un marito o un padre per indignarti nell’ascoltare le parole di Trump. Ti basta essere una brava persona. Questo candidato non è adatto alla Casa Bianca. Non sarebbe adatto nemmeno per un lavoro da 7-Eleven (la catena di supermercati)». L’ultimo a sparare su Donald Trump è Barack Obama, in un comizio pro-Hillary in North Carolina, uno degli Stati in bilico, tra quelli che determineranno chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca.

La verità è che a giudicare dai sondaggi gli swing states, così si chiamano, sono sempre di più: il candidato repubblicano sta infatti facendo di tutti per sabotare la propria campagna e quella dei repubblicani che corrono per mantenere la maggioranza nei due rami del Congresso. I comportamenti suoi e dei membri del suo partito stanno rendendo la campagna elettorale del 2016 un incubo per il Grand Old Party. Dopo novembre il destino stesso del partito potrebbe essere in discussione. Conservatori, religiosi, moderati, establishment e base del partito sono tutti disorientati a causa di una serie di episodi e delle loro ricadute. E nessuno sa bene come reagire. Oppure reagisce in maniera che rischia di danneggiare ulteriormente il partito.

Gli evangelici e i “commenti da spogliatoio”

Probabilmente il nastro diffuso da Nbc verrà ricordato come la chiave di volta di una campagna tra le meno tradizionali della storia americana. Per chi non lo sapesse, in un audio registrato prima di un’intervista Tv, Trump spiega ai suoi interlocutori che «quando sei una celebrità le donne ti lasciano fare tutto», che lui non aspetta il consenso prima di baciarle e altre delicatezze peggiori di queste. Dopo che il nastro è stato diffuso Christianity Today, il giornale evangelico più importante, ha pubblicato un editoriale del direttore nel quale si dice: non possiamo votare Trump (e naturalmente nemmeno Hillary). Gli evangelici, una forza importante e determinante per i repubblicani in Stati come Ohio e Florida, sono terrorizzati dalla presidenza CLinton perché temono di perdere la maggioranza alla Corte Suprema. Ma per loro i peccati messi in fila e ostentati come virtù dal miliardario newyorchese, sono troppo. Questo pezzo della destra conservatrice  che fu determinante per eleggere Bush non si mobiliterà per Trump.

Il passo indietro di Paul Ryan (e degli altri) e la reazione di Trump

Dopo  la diffusione dell’audio, lo speaker della Camera, forse la figura più importante del partito in questa fase, ha cancellato un comizio. E poi ha annunciato che non farà più campagna per Trump. Ryan non è tra coloro che si sono sempre tenuti a distanza da TheDonald. Non è un suo sostenitore entusiasta, come Rudy Giuliani o il governatore del New Jersey Chris Christie, ma da un certo momento in poi si era messo al lavoro. Ryan è un conservatore fiscale e molto religioso di quelli che negli ultimi anni hanno preso in mano il partito repubblicano. Per lui l’appoggio a Trump era un azzardo: al suo pubblico non piace. La reazione di Trump è stata furibonda.I tweet con cui Trump attacca i membri del suo partito Nei tweet qui sopra si parla di repubblicani sleali, più difficili da combattere di Hillary e del fatto che «ora che non ho più i ceppi posso finalmente combattere per tornare a fare l’America grande». I ceppi sono gli altri repubblicani. La guerra insomma è dichiarata. La svolta è dovuta alle difficoltà, ma anche al cambio della guardia alla guida della campagna: Paul Manafort era stato imposto dal partito a guidare il team di Trump e si è dimesso dopo poche settimane. I due non andavano d’accordo e, secondo il candidato, manafort lo costringeva in un vestito non suo. Lo stesso che gli aveva garantito di risalire nei sondaggi.

Al posto di Manafort è arrivato Steve Bannon, figura controversa, estremista, proveniente dal mondo dei media della destra, soprattutto talk radio, che alimentano le teorie del complotto. Una corrente politico-culturale, se vogliamo dargli questa dignità, in perfetta sintonia con Trump e con il suo populismo, in perfetta sintonia con la base militante che ha fatto vincere le primarie al miliardario, ma non necessariamente adatta a vincere le elezioni. Molti tra coloro che credono nelle cose di cui parlano le talk radio – milioni di ascoltatori – non vanno necessariamente a votare, si sentono estranei dalla politica di Washington, hanno visioni estreme. Alcuni troll grillini, non nei contenuti ma nel modo di pensare, somigliano abbastanza a questo profilo. I tweet di Trump sono in puro stile Bannon.

Che possono fare i repubblicani?

Difficile rispondere. Prendere le distanze inimicandosi quella base che ha fatto vincere le primarie a Trump e che continua ad avere un sostegno entusiasta e militante (il video qui sotto è un esempio di folla pro-Trump di questi giorni)? Il candidato ha già mostrato che segnalerà i traditori della sua causa. Questa gente potrebbe decidere di non andare a votare per i candidati repubblicani in Congresso. Sostenere Trump, ma senza mostrarlo troppo? Si rischia di fare la figura dei furbetti, non generando entusiasmo nella base trumpiana e neppure convincendo i moderati e gli indipendenti a votarti. Continuare a sostenere Trump? Una specie di suicidio se non si è candidati in posti come l’Oklahoma o il Kansas dove un repubblicano vincerebbe le elezioni anche se si presentasse ai comizi vestito in tutù. La soluzione sarà: ognun per sé e dio per tutti. A seconda dello Stato, della propria base locale, dei calcoli elettorali contea per contea, i candidati faranno una di queste scelte, consegnando agli americani un’immagine pessima e rischiando comunque grosso.

E dopo le elezioni, comunque vada -alcuni cominciano a pensare che il Grand Old Party potrebbe perdere non solo il Senato ma anche la Camera – i repubblicani dovranno reinventare se stessi. Anni di opposizione estrema a Obama, il Tea Party, le battaglie sulle questioni etiche hanno creato il successo di Trump, che per vincere ha fatto la guerra con l’estremista evangelico Ted Cruz, non con i quasi moderati alla Bush e Rubio. A dominare la base è un anti-elitismo che vuole meno tasse, meno Stato, meno immigrati, più anti-terrorismo e più guerra all’Isis (ovvero più Stato). Nessuno sembra avere chiaro in che modo uscirne. Il simbolo del partito repubblicano è quello dell’elefante, la verità è che oggi sarebbe più appropriato il negozio di porcellana nel quale l’elefante Trump è entrato e ha preso a calci le vetrine.