Christophe Chassol è stato per anni un segreto. Anzi, il miglior segreto della scena musicale parigina. Oggi, a 40 anni, dopo essere passato d’orecchio in orecchio, è diventato una delle più importanti novità del panorama musicale francese ed europeo. Definire Chassol come un semplice compositore e pianista è limitante. Limitante perché, di fatto, Christophe è un esploratore sonoro che valica confini geografici e ideali. È un poliglotta musicale che ha inventato un linguaggio con gli strumenti che padroneggiava meglio: pianoforte, armonia e accordi.
Nato a Parigi, ma figlio di genitori provenienti dall’isola di Martinica, nelle Antille Francesi, Chassol inizia a immergersi nella musica fin da piccolissimo. A 4 anni entra al Conservatorio, a 20 termina gli studi, poco dopo inizia a lavorare per il mondo del cinema come compositore. Ma, appunto, è uno che valica confini, e quindi lavora anche per la tv, per la pubblicità e con icone dell’electro-pop come Sabastian Tellier e i Phoenix. Soprattutto: si innamora della sincronia fra suono e immagine. Il suo obiettivo è armonizzare la realtà. Ed è così che si inventa un genere musicale: gli “ultrascores”, composizioni tridimensionali orchestrate con materiale musicale e video. Suoni di clacson nel traffico, un discorso di Obama, il canto degli uccelli o quello di una donna indiana si fondono con la musica in una vera e propria sinfonia audiovisiva. Nel 2011, assieme a un team di filmmaker, Christophe realizza Nola Cherie, la prima opera di una trilogia basata sugli “ultrascores”. Dopo Nola, girato a New Orleans e incentrato sui suoni, sulla lingua e la cultura creola, è la volta di Indiamore, realizzato in India nel 2013, e poi di Big Sun, nel quale il compositore francese ritorna alle sue origini traducendo in musica immagini e melodie della Martinica. Ed è proprio con Big Sun che in questi mesi Christophe Chassol sta girando l’Europa e l’Italia.
Come hai inventato gli “ultrascores”?
Da giovanissimo ho lavorato nel mondo del cinema e della pubblicità. Ero affascinato dai film, dai video e ovviamente dai suoni e dalla musica, ma soprattutto dall’idea di sincronizzare immagini e suoni con la musica creando un’armonia che riproducesse la realtà. Gli “ultrascores” sono questo.
Una performance del genere ha un impatto molto forte sullo spettatore.
Accade perché l’effetto che si crea è molto naturale. Se ci pensi non esistono immagini senza che ci sia del suono attorno. Anche quando guardi la televisione a volume abbassato, c’è comunque qualche rumore attorno a te. Non vediamo mai immagini “nude”, associamo sempre l’udito alla vista. La sincronizzazione che realizzo con gli “ultrascores” parte da questo concetto e ha un effetto coinvolgente proprio perché agisce sulla nostra mente in un modo molto naturale, familiare.
Quindi i tuoi lavori sono la dimostrazione che, per dirlo con una frase banale, la musica è ovunque attorno a noi?
Più che altro credo siano il modo migliore per mostrare quanta bellezza si crei quando le cose sviluppano una sincronia. L’armonia fra musica, suono e movimento è qualcosa che per me si avvicina molto alla magia.
Quando componi pensi prima alle immagini o alla musica?
In realtà penso a entrambe le cose contemporaneamente. La musica dipende sempre dalle immagini che stiamo filmando e quello che stiamo filmando dipende sempre dalla musica che ho composto prima di filmare. Sono elementi che si influenzano a vicenda, come in un circolo virtuoso. E i suoni che sento attorno a me mentre filmiamo mi ispirano ulteriormente.
Parlaci di Big Sun, che stai portando in tour.
È girato in Martinica, da dove provengono i miei genitori. Inizialmente volevo fare un pezzo sul Brasile, sono andato lì e ho trovato molte somiglianze tra i due Paesi: persone, paesaggi, colori e musiche nelle strade. Così ho realizzato che dovevo andare anche in Martinica. Di quel luogo conosco la lingua, la cultura… era quasi d’obbligo andarci. Volevo catturare suoni e immagini della natura e della fauna, come il canto degli uccelli, ma anche la melodia del linguaggio.
La tua musica è un’esperienza di viaggio che attraversa confini geografici e sonori. Il concetto di “varcare confini” definisce molto questo momento storico.
Sì e sarà sempre di più così. Per motivi politici, ma anche ecologici. Penso sia qualcosa che va di pari passo con il concetto di opportunità. Trovo sbagliato il fatto che alcuni politici vedano le migrazioni come qualcosa di negativo. L’incontro di nuove culture e persone è un elemento di ricchezza. Quello che sta accadendo è molto triste.
Nella tua musica si mescolano vari generi musicali dal jazz all’ elettronica, passando per la musica classica, a volte quasi per il folk.
In realtà non sento di mescolare così tanti generi. C’è solo un punto focale nelle mie composizioni la passione per trovare dei legami, dei fili conduttori, armonie. Poi certo, utilizzando il computer per realizzare le mie musiche la base elettronica c’è, ma le tecniche di composizione sono tutte derivate dal jazz e dalla classica.
Quali sono i musicisti da cui hai tratto maggiore ispirazione?
Ce ne sono moltissimi. Penso ai compositori di colonne sonore come Ennio Morricone, Jerry Goldsmith, o Bernard Herrmann. Trovo che le musiche realizzate per i film siano sorprendenti. Ma mi ispiro anche a pianisti come George Gershwin o jazzisti come Miles Davis che hanno saputo creare nuovi suoni e linguaggi; alla musica classica francese, da Maurice Ravel a Claude Debussy. E anche alla musica indiana, la trovo ricchissima di spunti.
Com’è stato lavorare con icone pop come Sebastian Tellier o i Phoenix?
Ormai sono passati più di dieci anni… è stato estremamente divertente. Ero in tour con loro e ho imparato moltissime cose da queste esperienze. In particolare a sintetizzare, a diventare un po’ più pop. Ho capito che anche sequenze semplici potevano essere estremamente efficaci.
Perché è importante essere pop?
Non so se è importante (ride) ma io voglio essere pop, voglio che alla gente piaccia la mia musica, essere pop significa anche questo.
Stai progettando qualche nuovo viaggio? Diventerà una composizione?
Più che a un viaggio, adesso sto lavorando a un nuovo soggetto. Si concentra sugli animali, sull’idea di una grande sinfonia naturale. Per un po’ quindi resterò in Francia… poi chi può saperlo.
In concerto a Roma
Dopo aver già toccato altre città italiane ed europee, Chassol arriva a Roma il 4 novembre dove si esibirà al Monk Club nell’ambito del Romaeuropa festival. Le date italiane sono state organizzate all’interno de “La Francia in scena”, stagione artistica dell’Institut français Italia, realizzata su iniziativa dell’Ambasciata di Francia in Italia per promuvere le eccellenze artistiche d’Oltralpe. Il tour europeo si concluderà il 13 novembre alla Philharmonie di Parigi.
(da Left n. 43)