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«Perché non posso essere più convenzionale? La gente parla, le persone guardano, così ci provo. Ma non fa per me, perché non riesco a vedere il mio pazzo mondo lasciarmi indietro». La sera del 13 ottobre, quando l’Accademia di Svezia annuncia di avergli assegnato il Nobel per la Letteratura, Bob Dylan è sul palco di Las Vegas. Nessun accenno al Premio né a Stoccolma, ma alla fine del concerto chiude con “Why you try to change me now”, Perché provare a cambiarmi adesso?. Le parole sono quelle di Frank Sinatra che Dylan ha arrangiato nel suo ultimo disco e il messaggio sembra chiaro: «Lascia che la gente si chieda, lasciali ridere, lasciali accigliarsi. (…) Non ti ricordi che ero sempre il pagliaccio? Perché provare a cambiarmi adesso?».
Ma chi ti vuol cambiare Bob?, viene da dirsi. Dicono che hai «creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana». Ed è venuto giù il mondo. Ogni piccolo rosicone, di ogni angolo del mondo, non ha perso l’occasione per dire la sua. Guardali Bob: spenti letterati al servizio del potere, falsi poeti che scrivono sotto dettatura del mercato, musici tutti orecchie con il marketing e sordi con l’anima. Tu no. Tu ci hai fatto viaggiare come Kerouac, ci hai fatto dondolare da fermi, hai dato i calci e i baci che avremmo voluto dare noi, che abbiamo sempre sognato. Hai aperto innumerevoli finestre per poi scappare via da lì, ma lasciandole aperte. E gli accademici di Svezia questo fanno con il Nobel, onorare chi «apporta considerevoli benefici all’umanità». Lo hai fatto. Adesso non ridurre tutto a una polemica da tabloid. «Sono onorato, ma ho altri impegni», dicono che tu abbia scritto loro così per avvertirli che il 10 dicembre non sarai alla cerimonia. Dai Bob, spiazza tutti e ritira quel maledetto premio, e inveisci pure contro di noi. Che in un mondo di facili contestatori, ritirare quel premio è rivoluzionario.
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