In pochi giorni raccolti due milioni e mezzo di dollari per pagare le pratiche. Perché ci sarà il riconteggio e cosa potrebbe cambiare

L’ultimo recount che ricordiamo è quello delle settimane del 2000 in cui il mondo aspettava di sapere come sarebbe finita tra George W. Bush e Al Gore. Quella volta le autorità dello Stato giocarono sporchino e i democratici scelsero di non aprire il finimondo e accettarono il verdetto sapendo che una “peaceful transition of power” (una passaggio dei poteri ordinato e pacifico) è alla base della tenuta di ogni sistema democratico: chi perde si fa da parte. Probabilmente sbagliarono allora, visti gli otto anni che il mondo ha dovuto subire a causa della reazione neocon agli attacchi dell’11 settembre. Su quella vicenda c’è un bel film HBO con Kevin Spacey che illumina sulla complessità dei processi, sul potere dei presidenti delle commissioni elettorali e sulla relativa astrusità del sistema elettorale Usa.

La notizia di oggi è che la candidata verde alla presidenza, Jill Stein, ha raccolto in poche ore i due milioni e mezzo che le sono necessari per avviare le procedure per il recount in alcuni Stati. A partire dal Wisconsin, dove i termini per la richiesta scadono venerdì. La pagina di raccolta fondi chiede di proseguire, obbiettivo 4,5 milioni e richiesta di recount, riconto delle schede anche in Michigan e Pennsylvania. Allo stato attuale (le schede vengono ancora contate) Trump è avanti di 10.700 voti in Michigan, 22.500 nel Wisconsin e 70mila in Pennsylvania. Sono numeri piuttosto alti, specie quelli del terzo Stato, il più importante in termini di grande elettori: se anche Hillary Clinton finisse con il vincere in Michigan e Wisconsin non riuscirebbe ad arrivare alla quota fatidica di 270 necessaria per essere eletta, in maniera indiretta, come prescrive la costituzione. Quel che sappiamo è che la candidata democratica ha ormai raggiunto un vantaggio di due milioni di voti. Ma certo, il sistema elettorale non è proporzionale e, quindi, si perde anche prendendo più voti. Certo è che un divario così non c’era mai stato. Tradotto, uno dei grandi errori di Clinton e della sua campagna è stato non saper capire come fare a portare poche migliaia di persone di più ai seggi in questi tre Stati. Un errore grave perché il partito di Obama aveva, in termini di conoscenza dei dati e della mappa dell’elettorato un vantaggio competitivo enorme.

Che risultato può avere il riconteggio? Se Clinton dovesse aver vinto i tre Stati, il cambio di presidente. Sarebbe un risultato per certi aspetti paradossale: la candidata che ha fatto campagna per mesi dicendo che Trump o Clinton sono la stessa schifezza, contribuirebbe a far vincere la democratica. Il pericolo Trump e il fatto che nei due Stati in cui il margine di svantaggio di Hillary è inferiore ai voti presi da Stein, hanno contribuito al ripensamento. Un esito simile è comunque improbabile. I dubbi sulla legittimità del conteggio sono dovuti al fatto che il margine di vittoria di Trump, in Wisconsin, è molto più alto in tutte quelle contee in cui si votava con le macchine elettroniche invece che con la scheda. Il super esperto di numeri Nate Silver, indica però che se guardiamo a quelle contee e ne osserviamo la demografia scopriamo che hanno le caratteristiche dell’elettorato che vota Trump – a differenza di quelle dove si vota con la carta. Ciò detto, problemi con le macchine elettorali ce ne sono stati. Altro aspetto, sottolineato da alcuni esperti informatici è il possibile hackeraggio dei sistemi elettronici da parte di qualcuno. E cvisto che durante la campagna abbiamo avuto leak, mail rubate dagli hacker russi e passate a Wikileaks e altre cose di questo genere, contare a mano le schede anziché farle contare a una macchina, potrebbe essere utile.

I democratici e Clinton si trovano in una posizione ideale: non stanno ostacolando Trump, non hanno fatto ricorso, ma se si dovesse concretizzare la possibilità di una rivincita, avrebbero colto l’obbiettivo senza sporcarsi le mani.

Da ultimo, se Clinton vincesse in due Stati su tre e quindi il collegio elettorale si trovasse a essere ravvicinatissimo (una distanza di una decina di grandi elettori) le pressioni su coloro che dovranno eleggere il presidente, sarà enorme. La cosa complicherebbe il passaggio dei poteri ordinato. E poi altro che film con Kevin Spacey. Detto tutto questo, che ciò avvenga è del tutto improbabile.