C’è Donald Trump che ha annunciato di voler tagliare i fondi NASA per la ricerca sul cambiamento climatico. Una scelta lungimirante a giudicare dalle notizie di oggi.
Gli scienziati che studiano l’Artico hanno lanciato un allarme, l’ennesimo, avvertendo che lo scioglimento rapido della calotta di ghiaccio rischia di innescare dalle conseguenze catastrofiche. Le temperature registrate nel 2016 sono di 20 gradi (venti, avete letto bene) più alte della media e la quantità di ghiaccio marino era stata così bassa solo nel 2012.
Così si legge nell’Arctic Resilience Report, nel quale ci si spiega che la differenza tra il dato normale e quanto sta capitando in questi mesi potrebbe mettere in moto meccanismi che a loro volta avrebbero conseguenze sugli equilibri degli ecosistemi di tutto il pianeta.
Il rapporto parla di «punti di non ritorno» che potrebbero essere, appunto, irreversibili. Nella regione artica, i punti critici individuati nella ricerca redatta da 11 organizzazioni, tra cui il Consiglio artico e sei università, comprendono: la crescita di vegetazione nella tundra, che sostituisce la neve e il ghiaccio riflettente con vegetazione scura, assorbendo più calore; aumento delle emissioni di metano, un potente gas serra, dalla tundra che si scalda; cambiamenti nella distribuzione della neve che riscalderebbero l’oceano, con conseguente alterazione in aree lontane quanto l’Asia, il crollo di alcune importanti attività di pesca artica, con effetti a catena sugli ecosistemi oceanici di tutto il mondo.