«E ora, cosa succederà alla scienza?», si chiede Rush Holt in un editoriale su Science. Holt è il Consigliere d’amministrazione della American association for the advancement of science (Aaas), la più grande e influente associazione scientifica del mondo. Science è la rivista dell’Associazione e, insieme all’inglese Nature, la più prestigiosa e diffusa rivista scientifica del pianeta. La domanda dell’editoriale riguarda il futuro della scienza e dei problemi connessi alla scienza negli Stati uniti d’America, dopo il ciclone Trump. Per ora – e già questa è una novità – non ci sono risposte certe alla domanda. E l’incertezza riguardo al tema rende inquieta la comunità scientifica e non solo: per il semplice fatto che da oltre settant’anni l’economia, l’occupazione, la sanità e la sicurezza militare degli Stati uniti d’America si fondano sulla scienza. E i ricercatori americani non possono contare solo su enormi risorse, le maggiori al mondo, ma sono parte integrante e importante della classe dirigente, cooptati nelle stanze dove si prendono le decisioni strategiche per il futuro del Paese (e del pianeta). Sono parte dell’establishment. Di quell’establishment che il candidato Trump ha detto di voler mandare a casa.
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