Con l’ondata populista che sta investendo l’Occidente, la vittoria di Norbert Hofer – il candidato xenofobo di estrema destra che con la vittoria al primo turno (35,1%) aveva gettato nel panico socialisti e popolari austriaci, e non solo – sembrava altamente probabile. Al secondo tentativo, dopo che le elezioni dello scorso maggio erano state annullate invece, ha vinto lui. L’europeista Alexander Van der Bellen, il candidato dei Verdi che ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’Europa. Il ballottaggio “bis” delle presidenziali, l’ha visto trionfare con il 53,3 per cento dei consensi, distaccando nettamente l’uomo della Fpö (Freiheitliche Partei Österreichs, il Partito della libertà austriaco) Hofer, arenatosi al 46,7 per cento. Una paura che si è rispecchiata nei dati dell’affluenza, arrivata al 73,9 per cento (e aumentata di quasi due punti percentuali rispetto alla scorsa votazione). Un rush che ha premiato il candidato dei Verdi che, seppur presentatosi da indipendente, ha incassato il sostegno dei big popolari e socialdemocratici.
Oltre a spazzare via la paura della rinascita del nazionalismo più xenofobo nel cuore del Vecchio continente, il professore ha dichiarato di aver vinto grazie ai «vecchi valori di libertà, uguaglianza e solidarietà», e che il suo impegno sarà proprio per «un’Austria europeista».
«Sarò il presidente di tutti», ha detto appena registrata la vittoria, rivolgendosi ai 6,3 milioni di austriaci. «Il mio obiettivo per i prossimi sei anni – ha detto – è che i cittadini, che mi incontreranno per strade, in metropolitana oppure in paese, dicano “Guarda, il nostro presidente” e non solo “il presidente”». Un traguardo non facile da realizzare, visto che l’elettorato nettamente spaccato in due: il sostegno a Van der Bellen è arrivato dalle aree urbane. A Vienna, il 72enne di origini socialdemocratiche, ha ottenuto il 77% dei consensi. Si estendono inoltre notevolmente le circonferenze attorno alle città. Al primo turno, le preferenza per Van der Bellen non valicavano i confini cittadini. Stessa cosa vale per il Tirolo, ora nettamente schierato.
Le aree rurali e montane, invece, hanno continuato a dare la loro preferenza al candidato ultranazionalista.
#Austria. #VanDerBellen‘s exit from his “urban electoral ghetto” is key to April–>December vote shift. pic.twitter.com/X9HhtSw1Mw
— Aspenia online (@Aspeniaonline) 4 dicembre 2016
Dalla parte del neo eletto presidente le donne e i giovani. Il 62% della popolazione femminile ha appoggiato il professore (contro il 38% schierata per Hofer). Fra i giovani sotto i 30 anni, il 58% ha dato fiducia al candidato verde, contro il 42% che ha invece preferito il leader populista. Stessa percentuale, più o meno, nella fascia dei pensionati: 56% per Van der Bellen; 44% Hofer.
Un dato che la dice lunga però, è quello della fascia operaia: ben l’85 per cento dei lavoratori austriaci, ha dato la propria preferenza al candidato dell’estrema destra.
Ma chi è il nuovo presidente austriaco?
Alexander Van der Bellen, soprannominato “il candidato gentile”, è nato a Vienna nel 1944 da una famiglia fuggita dalla Russia dopo la Rivoluzione d’ottobre. Il padre era un nobile russo di origine olandese, la madre estone: perseguitati da Stalin, si sono rifugiati prima a Vienna e poi nel Tirolo, dove “Sacha” (il soprannome del presidente) è cresciuto. Ha iniziato la sua carriere di docente universitario alla facoltà di Economia di Innsbruck, mentre quella politica è iniziata negli anni Ottanta a Vienna (dove è stato anche ordinario di Economia), prima nel partito socialdemocratico (Spo) e poi nei Grunen, di cui è stato portavoce federale dal 1997 al 2008.
Parlamentare e poi consigliere comunale a Vienna fino al 2015, il professore ecologista, appassionato di auto e schierato da sempre contro il Ttip così come contro le politiche migratorie di Vienna, ha ammesso di aver fatto parte per un breve periodo della massoneria. Poche settimane prima di candidarsi alla presidenza come indipendente, un anno fa, ha sposato in seconde nozze la parlamentare verde Doris Schmidauer, sua compagna di lungo corso. L’ex leader dei verdi ha sostenuto, in campagna elettorale, che a confrontarsi sono il suo stile “cooperativo” e quello autoritario dell’avversario.