Una cinquantina di ex dipendenti della fabbrica di giocattoli musicali Bontempi ha fondato una cooperativa per salvare il lavoro e la produzione, minacciata dalla concorrenza asiatica. Le storie dalla fabbrica salvata dai lavoratori

Martinsicuro – Era il quartier generale del giocattolo musicale. Così grande che gli operai lo attraversavano in bicicletta. A lavorare in quei trentaduemila metri quadri di stabilimento erano in tanti, oltre quattrocento, durante il boom della Bontempi. Per quarantuno anni, in Via del Lavoro 14 a Martinsicuro, comune di Teramo, uomini e donne alle macchine hanno dato vita “al mondo dei divertimenti”. Nel 2003, il fallimento e poi un tentativo di ripresa con la Bontempi spa. E ancora, a distanza di dieci anni, una nuova procedura di concordato che stravolge le vite degli ultimi cento lavoratori dell’azienda. Tra quelle mura, non solo macchine. Intere esistenze.

(Foto di Angela Zurzolo)
(Foto di Angela Zurzolo)

Lì dentro, c’era chi, a 24 anni, aveva conosciuto sua moglie e con i risparmi fatto studiare le due figlie, come Marcello, collaudatore. Ormai 54enne, non aveva di fronte che la cassa integrazione. Pierluigi, in fabbrica da trenta anni, a 55 perde per la seconda volta il posto e rivive un incubo: quello del fallimento, negli anni ’80, di un’altra impresa della provincia, un cantiere navale in cui lavorava come saldatore. A fallire nella zona sono in tanti. Del resto, dal 2008 al 2016, in tutto l’Abruzzo, il totale dei fallimenti è raddoppiato. Quest’anno si registra il crack di 10mila aziende, in calo del 6% rispetto al 2015 secondo l’Osservatorio Cerved. Ma c’è chi come Pierluigi non si rassegna a non poter essere padrone del suo destino.

(foto di Angela Zurzolo)

Per questo 34 ex dipendenti della Bontempi hanno scelto di dar vita a un workers buyout, procedura che ha consentito agli ex dipendenti di acquistare l’azienda e di salvare parte della produzione. Da operai a imprenditori, hanno creato una cooperativa. Si definiscono “imprenditori veri” e “non prenditori come tanti”. Industria Abruzzo oggi occupa 18mila metri quadri su 32mila dello stabilimento. Molte delle macchine della Bontempi che producevano giocattoli, pianole e organi,sono ferme. Delle 30 dedicate allo stampaggio, più della metà sono inutilizzate. Ma per garantire stabilità alla cooperativa, si pensa di voler diversificare la produzione, tentare con nuovi materiali plastici per assumere altri ex dipendenti.

Oggi l’azienda produce prevalentemente strumenti a fiato e percussione, per un totale di circa 50mila articoli al mese. Esclusivamente giocattoli, dunque.«Niente più elettronica» dicono con rimpianto gli operai che ricordano che dal 1984 al 1998, si era arrivati a produrre persino pianoforti. Perché Bontempi aveva acquisito e salvato la Farfisa, azienda piegata dalla concorrenza dei giapponesi, posta in liquidazione dalla Lear Siegler e finita con 279 addetti in cassa integrazione su 649. A produrre ed esportare anche in Italia quegli stessi strumenti, da tempo, ormai, è la Corea. Ma oggi è la Cina la vera minaccia per lo stabilimento di Martinsicuro. Impossibile competere con i costi del lavoro del Dragone.

(foto di Angela Zurzolo)

Addio per sempre perciò alla produzione di tastiere musicali a 61 tasti e di piani digitali made in Italy. «Nel 2013, dopo la liquidazione, a Potenza Picena, dove c’era l’altro polo della Bontempi, hanno pensato di costituire una società per commercializzare i prodotti di importazione» spiega Giancarlo Pieroni, presidente della Industria Abruzzo coop. «Analizzando i preventivi cinesi abbiamo capito che in fatto di giocattoli tradizionali c’era ancora la possibilità di competere. Sono voluminosi e il costo del trasporto incide molto sul prezzo finale. Da qui l’idea di formare una cooperativa e salvare parte della produzione vendendo giocattoli alla commerciale che oggi esporta i nostri prodotti in 70 Paesi del mondo».

(foto di Angela Zurzolo)

Con 250mila euro, chiusasi la procedura di concordato, la cooperativa acquista le macchine. Tante le difficoltà per l’accesso al credito. I soci sono costretti a firmare fideiussioni. Poi ottengono un finanziamento di 180mila euro: “Cfi, società che promuove le imprese cooperative, entra nel capitale sociale con 40mila euro, mentre il fondo mutualistico Coopfond interviene con una partecipazione di 130mila euro” spiega il presidente della cooperativa. Dei cento lavoratori dell’azienda, però, solo 34 hanno potuto far parte dell’impresa perché continuare a produrre strumenti elettronici era impossibile. «Il nostro obiettivo è quello di assumere gli ex colleghi, come stiamo facendo nel periodo di alta produttività» spiega Livio, socio della cooperativa. «Guardare un collega e sapere che domani non verrà più a lavoro è difficile e doloroso» racconta Marco, un impiegato. Ma la concorrenza e le condizioni imposte dal mercato per ora sembrano non consentire di fare altrimenti.