Il punto è che lui (e i suoi) sono soddisfatti, tutto sommato contenti dell’anno che si sta chiudendo. Certo la campagna campale, quella sul referendum, non è andata come doveva (o meglio: è andata come doveva andare ma non come avrebbe voluto lui), ma l’anno è stato emozionante e il morale, messe le mutande rosse, nuove, è alto. Anche se tocca stare per un po’ lontani da Roma, e farsi immortalare non più vicino a un carretto di gelati (Grom, si intende) nel mezzo del cortile di palazzo Chigi ma con un carrello pieno di panettoni (Bauli – e le marche raccontano molto del messaggio che si vuole mandare) nella corsia di una Coop.
Il morale è alto, e lo spirito quello di sempre, si diceva, tant’è che chi lo voleva un po’ cambiato (chi pensava che il ragazzo avesse potuto imparare qualcosa da questo finale dell’anno) si è dovuto ricredere subito. Il tempo di convocare una direzione del partito e – piazzato un governo che al momento si suppone di poter gestire per corrispondenza – la stoccata alla minoranza ha svelato la verità – offrendoci peraltro l’occasione per spiare uno dei libri che Renzi ha letto in questo 2016, anno di importanti passaggi referendari, di referendum, di dati sull’occupazione (con il boom dei voucher), di dimissioni.
Uno dei libri che Renzi ha sicuramente letto nel 2016 è Coraggio! di Gabriele Romagnoli, pubblicato da Feltrinelli. In libreria lo riconoscete perché ha una copertina color uovo di pettirosso, tinta unita, forte. La battuta “Lo stile è come il coraggio di Don Abbondio” è stata presa da lì, ispirata da quelle pagine (dove il coraggio di Don Abbondio, quello che “se uno non ce l’ha, non se lo può dare” è citato già nella quarta di copertina), e poi rivolta a chi nella minoranza, spesosi per il No, si è lasciato andare a festeggiamenti post 4 dicembre, giudicati indelicati e poco sportivi (immaginiamo che i renziani si sarebbero limitati ad abbracciare gli sconfitti – certo). Maleducati sono questi ex comunisti.
Per Matteo Renzi, insomma, quello del referendum è un incidente in un anno glorioso, che si chiude come si è conclusa la sua prima esperienza a palazzo Chigi. Ed è proprio pensando ai mille e rotti giorni nel suo complesso, che anche questi ultimi 365 diventano buoni. Perché – per dire – confermano che oltre lui non esista niente e nessuno – e che lui può persino permettersi il lusso di sbagliare – di sbagliare forte, come nel caso della personalizzazione referendaria – tanto nessuno verrà a insediarlo. La minoranza del suo partito non sa proprio come riorganizzarsi (anche se Speranza ha annunciato che mercoledì inizia un tour nazionale di preparazione al congresso), a sinistra non si muove granché, e i 5 stelle, sempre alti nei sondaggi, hanno avuto un anno pure peggio del suo, cominciato il 10 gennaio con l’esplosione del caso Quarto, con le indagini sull’amministrazione, le polemiche sulla responsabilità dell’allora “direttorio”, etc etc., e finito con Virginia Raggi che non passa indenne manco da una (civilissima) ordinanza sui botti di fine anno, e deve fare i conti con l’ingombrantissimo arresto di Raffaele Marra.
Per il resto è tutta una questione di punti di vista. Di gusti. Se pensi che le riforme fossero bellissime, per te il 20 gennaio 2016 non è il giorno in cui Verdini è entrato (tornato) nel governo del Pd, ma è il giorno in cui il Senato dà il terzo sì alla riforma costituzionale (con i voti fondamentali di Verdini, appunto, due dissidenti di Forza Italia e i tre senatori che fanno riferimento all’ex leghista Tosi). Senza di loro non ci sarebbe stata la maggioranza.
E poi. Il 2016 è pure l’anno in cui si dimette la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi, chiamata in causa in alcune intercettazioni nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti petroliferi in Basilicata. Ma è anche l’anno in cui, dando indicazione per l’astensione (ma volendo far vincere il Sì), Renzi vince il referendum sulle Trivelle, fermatosi lontanissimo dal quorum. Il 2016 è stato l’anno delle Unioni civili, approvate seppur senza adozioni, e lontanissime – ancora – dal matrimonio egualitario. E per uno che sulle adozioni omosessuali ha sempre avuto dubbi, la vittoria è piena, celebrata in ogni dove.
E ancora, sì, è vero che non si è visto il “lanciafiamme” che Renzi aveva promesso di usare per distruggere le correnti interne ai dem che – a suo dire – hanno reso possibile il disastro delle amministrative, ma è anche vero che da giugno 2016 ad oggi il Pd è ancora più renzizzato, tanto che parlare di correnti fa ormai sorridere. E’ pure l’anno in cui si è completata l’invasione del sottogoverno, Rai compresa, con le attesissime nomine, arrivate il 4 agosto di quest’anno.
E poi c’è stata la partita europea, dove Renzi è convinto di aver ottenuto ciò che si poteva ottenere (a cominciare dall’immagine un po’ tsiprarola, in contrasto con il revival sulla Terza via). E’ di settembre 2016 il vertice dei leader dell’Ue a Bratislava, quando il nostro ex presidente del Consiglio rinuncia alla conferenza stampa congiunta con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande, in disaccordo sulle conclusioni del documento finale in materia di economia e migranti. Il 2016 è l’anno dei decreti del jobs act (e del referendum che forse, zitti zitti, si riesce a evitare) ed è poi l’anno della cena con Obama (e questo per tutti, obiettivamente, sarebbe sufficiente per trasformare l’anno in memorabile).
Il 2016 è stato l’anno delle bufale, delle bugie, delle post verità. Lo sa bene Renzi che ha citato la post verità, le bufale del web, nel suo discorso di dimissioni, denunciandole. Lo sa bene anche perché ha pure lui la sua buona e comoda dose di post verità – di slogan, falsi miti, piccoli e grandi inganni (anche dire per mesi che il parlamento è lento, per dire, lo è). Trucchi che risultano comodi, e che hanno però l’effetto collaterale (da capire se grave o persino positivo): convincono pure chi li pratica, alla fine. Ci si convince, come si può fare sul giudizio sul 2016.