È probabile che, se avete fatto click su questo articolo, nel corso della giornata ne abbiate fatto uno o più d’uno su quanto accaduto a Cona. L’hashtag #Cona in queste ore è diventato virale al punto da raggiungere la vetta dei trending topic su twitter. Avrete letto dell’assurda morte di Sandrine, e della protesta dei suoi compagni del centro di accoglienza che hanno trattenuto gli operatori fino a notte fonda. Questa mattina, il commissariato e il comando di Chioggia hanno reso noto che, nella notte, carabinieri e polizia sono intervenuti al centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia. Perché i migranti in rivolta hanno bloccato 25 operatori all’interno della struttura fino alle 2 della notte. Le immagini della protesta fanno il giro della rete, tra insulti e sgomento. Ma perché questa rivolta?
In quel centro di accoglienza è morta Sandrine Bakayoko. Aveva 25 anni, era arrivata in Italia il 30 agosto dalla Costa d’Avorio insieme al fidanzato, dopo aver affrontato il Mediterraneo su un barcone partito dalla Libia. Era nell’hub in attesa di ricevere una risposta alla sua richiesta d’asilo. L’hanno trovata priva di conoscenza in uno dei bagni del centro, un’ex base missilistica che ospita oggi quasi 1.500 migranti. Sandrine è morta di trombosi polmonare, molte ore dopo i primi malesseri. E lo dice l’autopsia. Ha avuto un malore mentre si faceva la doccia, e l’ambulanza è arrivata dopo 8 ore, perché Sandrine si era sentita male intorno alle 7.00 ma la richiesta di intervento dal centro è arrivata solo alle 12,48, è a quell’ora che il 118 di Padova afferma di aver ricevuto la chiamata. Così Sandrine non ce l’ha fatta. Per questo nel centro è scoppiata una rivolta. Per questo quei migranti hanno deciso di scioperare e impedire agli operatori di uscire dalla base. Fino alle 2 di notte, fin all’intervento delle forze dell’ordine.
Ma le condizioni di vita in quel centro di accoglienza le conoscevamo già. Le avevano denunciate gli stessi migranti ospiti nella struttura con la pagina facebook “Officiel Italie Immigration” e le aveva denunciate anche la Campagna LasciateCientrare a giugno scorso, a seguito di una visita nel centro di Cona. Denunce inascoltate, alle quali non è seguito nessun intervento. Ecco cosa riportavano:
«Una tendopoli nel nulla. Alle tende si alternano casolari con letti a castello in stanze stracolme. Il centro – che neanche la prefettura sa come inquadrare dato che i Comuni non accettano migranti – ospita attualmente 620 persone, 80 in più del numero massimo di quante previste, appartenenti ad oltre 25 diverse nazionalità. Molti gli eritrei che non hanno neanche un mediatore nella loro lingua. La visita è durata un ora, serrata e blindatissima, non è stato permesso di avere contatti con gli ospiti se non sotto la stretta osservazione del responsabile della prefettura e di alcuni operatori e responsabili dell’ente gestore. I mediatori presenti, in varie occasioni, hanno fatto intendere ai migranti che gli attivisti della delegazione erano “carabinieri”. Alla richiesta di ricevere dati certi sui tempi di permanenza nel centro e sui passaggi alla seconda accoglienza, il responsabile si è impegnato a fornirci quanto prima i dati richiesti».
Non c’è protesta che si infiammi senza che qualcuno dia fuoco alla miccia. In queste ore gli ospiti del centro continuano a denunciare il ritardo nei soccorsi: «È stata anche colpa della negligenza della cooperativa, l’ambulanza è arrivata solo 8 ore dopo», riporta il Corriere del Veneto. E non c’è “rumore” o viralità che possa silenziare queste voci. Dovere del giornalista è evitare il sensazionalismo e non stravolgere la realtà.