I tre anni del governo Renzi non hanno cambiato affatto lo scenario della produttività in Italia. Se il flop del renzismo dal punto di vista dello sviluppo trova riscontro nei dati sulla disoccupazione – soprattutto giovanile – i tavoli aperti al Ministero dello sviluppo economico confermano questo scenario deludente. Forse se n’è accorto anche il neoministro Calenda che, al Corriere della sera il 1 gennaio ha dichiarato che «Un piano industriale va dettagliato rapidamente». Nell’intervista Calenda aveva individuato i settori a cui dare un supporto: l’industria ma «solo a chi investe in innovazione e internazionalizzazione», il turismo e la cultura e le scienze della vita.
I tavoli aperti di crisi e vertenze da risolvere di interi gruppi industriali e di imprese sono 145. Si va da Mediaset a Ilva, da Lucchini a Alcoa. L’ultimo caso, si è concluso con un insuccesso. Il Mise non è riuscito nell’opera di mediazione con i vertici di Almaviva Contact, quella parte del gruppo italiano che è costituito dai call center. L’ azienda non ha accettato il sì all’accordo da parte delle Rsu di Roma dopo un referendum che ha coinvolto i lavoratori, mentre quelli di Napoli avevano acconsentito subito a un accordo, ricordiamo, che prevede tre mesi di ammortizzatori sociali durante i quali si devono ridiscutere le proposte dell’azienda, alquanto gravose sui controlli a distanza e sul miglioramento della produttività. Mentre a Roma si registrano 1666 licenziamenti, a Napoli ci sono ancora in ballo 845 posti di lavoro, per il cui destino la trattativa deve trovare una sua conclusione entro il 31 marzo. Almaviva Contact ha delocalizzato intanto in Romania dove il costo del lavoro è inferiore a quello italiano.
Un’altra vertenza “calda” è quella di Alitalia. L’incontro è previsto il 10 gennaio. In quell’occasione l’azienda presenterà il nuovo piano industriale dopo che a fine anno con una lettera ai dipendenti ha comunicato la recessione del contratto nazionale e il congelamento degli scatti di anzianità a partire dal 1° gennaio 2017. I sindacati non hanno gradito e infatti hanno espresso un’assoluta contrarietà “nel metodo e nel merito”. Filt Cgil, Fit Cisl reti, Uiltrasporti e Ugl trasporto aereo scrivono di essere “impegnate già dai prossimi giorni ad aprire il negoziato sul contratto collettivo nazionale di lavoro, sulla base della piattaforma presentata”. Lo scenario si presenta alquanto complesso. Come si legge su Rassegna.it, il nuovo contratto dovrebbe prevedere secondo Alitalia, “forti aumenti di produttività per il personale navigante e una generale riduzione degli stipendi di almeno il 10 per cento”. Si parla di 1.600 posti di lavoro a rischio.
Un’altra grande questione da risolvere, che riguarda il fiore all’occhiello dell’industria pesante, è quella che riguarda l’Ilva di Taranto il cui destino è al bivio, visto che ci sono due cordate che la potrebbero acquisire: Arvedi-Jindal e ArcelorMittal-Marcegaglia, ciascuna con una propria strategia industriale che quindi determinerà anche gli scenari futuri dell’occupazione.
Situazione di stallo e mancanza di un piano industriale anche all’acciaieria ex Lucchini di Piombino dove si attende che l’imprenditore algerino Issad Rebrab faccia capire quali sono le prospettive per i dipendenti, sono 2mila che rischiano il posto di lavoro.
E poi c’è la crisi, ormai storica di Alcoa a Portovesme, in Sardegna, dopo che il colosso americano dell’alluminio americano nel 2012 aveva deciso di chiudere la produzione. Da allora i vari governi hanno cercato disperatamente un compratore. A dicembre il ministro Calende aveva detto in una riunione alla Regione Sardegna: “Abbiamo qualche compratore interessato all’acquisizione dello stabilimento Alcoa di Portovesme, ma non scopriamo le carte finché non siamo certi che si tratti di cose concrete e decise”. Il 2017 sarà l’anno in cui le carte dovranno essere scoperte. E non solo per l’Alcoa, ma anche per le centinaia di vertenze in atto.