Un fiume di donne travolgerà il presidente Trump il 21 gennaio. Saranno circa 100mila a sfilare sotto la Casa Bianca. Chiedendo aborto legale e sicuro e misure contro la violenza sulle donne, ma anche la fine della discriminazione e della criminalizzazione dei migranti: «Pensiamo che migrazione sia un diritto umano e che nessun essere umano sia illegale». Tra le celebrities Scarlett Johansson, Cher, Julianne Moore

Un fiume di donne travolgerà il presidente Trump il 21 gennaio. Finita la cerimonia di insediamento le strade di Washington si riempiranno di manifestanti. Si prevedono circa 100mila presenze alla Women’s march del prossimo sabato. La misoginia e il razzismo di Donal Trum, incredibilmente, hanno fatto incontrare le ragioni di immigrate, femministe e celebrities come Scarlett Johansson, Cher, Julianne Moore and Frances McDormand, che hanno annunciato la loro partecipazione alla marcia, intorno a una piattaforma decisamente politica in cui all’ordine del giorno ci sono battaglie importanti che partono dal rifiuto delle disuguaglianze, il rifiuto del bigottismo dei pro choiche, rifiuto dello sfruttamento dei lavoratori precari e senza contratto, rifiuto della criminalizzazione degli immigrati.

Tutto è partito dalla discussione intorno al tanto atteso Equal Rights Amendment, per conquistare parità di pagamenti fra uomini e donne, congedo familiare retribuito. Ma il punto centrale è  la fine della violenza contro le donne. Gli organizzatori hanno steso un manifesto d’intenti progressista chiedendo più giustizia sociale osando una parola quasi mai sentita nell’America del self made man e  fondata sullo schiavismo: “uguaglianza”. Una parola che ha risuonato solo all’epoca di Occupy Wall Street e che, si temeva, fosse morta e sepolta nell’America di Trump.

Fra le ispiratrici della piattaforma troviamo figure di spicco del femminismo che abbracciano un ampio spettro di temi e di istanze: da Harriet Tubman, Gloria Steinem, Audre Lorde, Malala Yousafzai, passando per Dolores Huerta leader del movimento dei lavoratori e per i diritti civili nonché cofondatrice della  National Farmworkers Association, o Wilma Mankiller, la prima donna a capo della nazione Cherokee, e Sylvia Rivera, una donna transessuale fra le leader della rivolta di Stonewall.

La marcia delle donne del 21 gennaio, dunque,  sarà una manifestazione di donne che allargano lo sguardo alla società per denunciare la brutalità e il razzismo della polizia per chiedere la smilitarizzazione delle forze dell’ordine americane e la fine della carcerazione di massa, che riguarda soprattutto le fasce più povere e discriminate. I manifesti parlano chiaro rivisitando in maniera originale la grafica delle proteste degli anni Settanta contaminandola con la street art: si parla di lotta contro la discriminazione e per l’assistenza sanitaria, si parla di battaglie per l’auto determinazione, per la contraccezione, per avere la possibilità di abortire  in tutti gli Stati. E vanno insieme qui con quelle dei movimenti per i diritti delle prostitute e  lavoratori domestici. Nessuno è escluso. Si parla di aborto legale e sicuro, di assistenza sanitaria riproduttiva per le donne di tutti i redditi. Per quanto riguarda l’immigrazione, “noi rifiutiamo deportazione di massa, detenzione di intere famiglie, le violazioni del giusto processo e la violenza contro queer e trans  e migranti “, si legge nella dichiarazione. “Ci rendiamo conto che l’immigrazione  non  è una questione che si limita agli Stati Uniti, perché c’è una crisi migratoria globale. Crediamo che la migrazione sia un diritto umano e che nessun essere umano  sia illegale”. Dalla fine del mese scorso  hanno cominciato ad aderire organizzazioni di base come Planned Parenthood, Amnesty International, la NAACP, e altre organizzazioni con agende esplicitamente politiche. Donald Trump è avvertito.