Se avessimo lo stesso nerbo che sprechiamo con le diversità anche nel combattere le diseguaglianze saremmo un mondo con un’equa distribuzione di diritti e di doveri; smetteremmo di accanirci sulle terre, come cani a difendere gli spazi, e potremmo alzare lo sguardo per discutere di possibilità. Se riuscissimo a ragionare per uguaglianza piuttosto che sottrazione sarebbe facile separare le tesi politiche (così diverse, anche opposte) dalle imposture e forse ci distoglieremo dall’autopreservazione imparando la cura.
I dati del rapporto Oxfam non sono diversi dall’anno scorso (e, secondo il rapporto, non saranno troppo diversi negli anni a venire) ma nascondono sotto i numeri una sceneggiatura quotidiana e diffusa: mentre filosofeggiamo di democrazia, autoritarismo e post verità continuiamo a non renderci conto che la stortura è quella di avere una classe dirigente (questa sì non eletta, non controllata, non responsabilizzata e difficilmente controllabile) che si riunisce intorno a un tavolo, una classe dirigente di poche tasche in cui sta la ricchezza del mondo e che potrebbe rovesciare intere economie decidendolo al tavolino di un caffè.
Un sistema politico post-pubblicitario che ha bisogno di denaro per comprarsi la necessaria visibilità e per costruirsi consenso ha poche porte a cui bussare per ottenere i mezzi indispensabili alla partita delle elezioni. Facile immaginare chi serviranno una volta preso il potere.
Dentro i numeri di quel rapporto c’è scritto a chiare lettere che dalle nostre parti il mantenimento dello status quo è la partita economica più rilevante. Gli altri, tutti gli altri, possono sperare di vincere la guerra nei bassifondi per giocarsi una realizzazione che è poco più della sopravvivenza. Dentro i numeri di quel rapporto c’è scritto che la politica è saltata perché i numeri non pesano tutti allo stesso modo.
E quel rapporto ci dice che anche quest’anno forse l’abbiamo sprecato a inseguire urgenze irrilevanti. Forse.
Buon martedì.