C’è chi ha aperto una scuola d’inglese, chi fa l’avvocato, chi lavora nel campo del marketing oppure c’è chi è semplicemente studente. Moltissimi sono millennials. Arrivano da New York ma anche dal Texas, da Seattle o dall’indiana. In Italia per lavoro, per amore, per una scelta di vita. Sono gli Americans expats for change di Roma che in occasione dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca hanno deciso di far sentire la propria voce. Una voce di sinistra, naturalmente.
Saranno impegnati venerdì 20 al Ponte Sisto (Piazza Trilussa dalle ore 15.30, qui le info). Il gruppo, una sessantina di persone, si è formato subito dopo l’elezione di Trump, il 9 novembre. «Di fronte a questo episodio inedito e sconvolgente ci siamo guardati intorno cercando tra noi qualche conforto. Ed è nato un movimento trasversale», racconta in un italiano perfetto l’avvocato Michael Stiefel, a Roma dal 1988. Con striscioni in cui si ribadisce un rifiuto netto contro ogni tipo di razzismo – Bridges not Walls, Love Trump’s Hate, Le razze umane non esistono – gli attivisti vogliono manifestare un pensiero completamente opposto a quello dimostrato da Trump in tutti questi mesi. Una presa di posizione netta da parte di persone che si sentivano rappresentate più da Sanders che da Clinton e che adesso non rinunciano a continuare un percorso a sinistra, per il rispetto dei diritti umani.
«Il nostro messaggio è diverso da quelli che spesso si sentono dagli altri gruppi nei media» afferma l’organizzatrice Tanya Halkyard. È la politica della paura alimentata dall’hate-speech, il muro da abbattere. Quella politica della paura che «tende a menomare i nostri diritti sul luogo di lavoro e in casa, lacerando le nostre comunità e lasciando il futuro del nostro pianeta in bilico», si legge nel sito. Da una parte del mondo anglosassone in questo periodo giungono messaggi che parlano di chiusura e di isolazionismo, come accade in Gran Bretagna con la premier Theresa May che esalta l’uscita dall’Ue e dal mercato comune dopo la Brexit. Per questo motivo, dicono gli Americans expats for change occorre costruire ponti per un dialogo che sia costruttivo.
Sabato 21 si replica al Pantheon. Dalle ore 11 alle 14, in contemporanea con la Womans in March che si svolge in un centinaio di città in tutto il mondo una mobilitazione a cui hanno aderito diverse associazioni: oltre ad American Expats for Positive Change, Democrats Abroad – Italy, Pantsuit Nation Italy e Us Citizens for Peace and Justice.
Racconta Elizabeth Farren, insegnante e scrittrice e madre di due bambini, portavoce del gruppo che ha organizzato la manifestazione nel cuore di Roma e che si è mosso con input individuali. «Noi non rimarremo in silenzio. Vogliamo dimostrare che non abbiamo paura e che non rinunceremo ai diritti delle donne, ai diritti civili, a una democrazia che ci difenda. C’è chi ha paura negli States ma noi no» Elizabeth parla di una “guerra culturale”, di una «polarizzazione che comincia da più di venti anni, ma adesso il vento ha soffiato sul fuoco».
Durante la manifestazione sono previsti interventi di docenti universitari, giornalisti, attivisti impegnati nel sociale: Rula Jebreal, giornalista e scrittrice, commentatrice Cnn e volto noto anche agli italiani, Loretta Bondì, Director, International Projects BeFree Social Cooperative, Casa Internazionale delle Donne, Mary Stuart-Miller – Project Rome/Tiburtina Tuesday – providing food/assistance to homeless/poor,
Marianna Occhiuto – Casa Scalabrini 634 – assistenza a rifugiati e richiedenti asilo politico
Irene Caratelli, Director of Program on International Relations and Global Politics, American University of Rome e Sandro Portelli, professore emerito a La Sapienza, scrittore e grande esperto di cultura americana.
Le manifestazioni di Roma sono strettamente legate anche a quelle di Londra. Anche nella capitale inglese si terrà una doppia protesta, il venerdì e il sabato (info qui). C’è chi ha messo in relazione il movimento pro diritti civili scaturito dall’elezione di Trump a quello di Occupy Wall Street o addirittura alla rivolta contro la guerra nel Vietnam. Vedremo, intanto, come fa notare anche Elizabeth Farren, si tratta di un movimento globale che anche grazie alla rete riesce a organizzarsi e a condividere contenuti…