Dieci anni dopo il suo ultimo album in studio, “La Radiolina”, Manu Chao è tornato. José Manuel Arturo Tomás Chao Ortega. Figlio del giornalista spagnolo, Ramón Chao, e della basca Felisa Ortega, è nato a Parigi il 21 giugno del 1961. Lì, in Francia, avevano trovato rifugio i suoi genitori, in fuga dalla Spagna di Francisco Franco. Così, Manu Chao cresce tra Boulogne-Billancourt e Sèvres, periferia parigina, tra i rifugiati delle dittature sudamericane che trovano spesso ospitalità in casa dei suoi.
Manu Chao è stato la voce dei Mano Negra, il gruppo francese di ispirazione anarchica in bilico tra il punk dei Clash e i ritmi sudamericani. Con “Clandestino” ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, vendendo più di 4 milioni di copie. Poi, col tempo, al rock dei Mano Negra è prevalsa la musica meticcia. Ma è rimasto indenne il sodalizio tra musica e politica. Manu Chao è indubbiamente un’icona del “popolo di Seattle”.
È nato a Parigi, sì. E ha origini spagnole, sì. Ma in molti non esitano a chiamarlo “il Bob Dylan latinoamericano”. Quando si è presentato nella più grade piazza latinoamericana, lo Zocalo, laddove il subcomandante Marcos ha terminato la sua marcia, erano 100mila i peruviani, boliviani, ecuadoriani e messicani arrivati per ascoltarlo. «Sono un campionatore umano. Assorbo tutto senza rendermene conto e poi tiro fuori le sonorità più diverse. Non so più dire da dove vengano di preciso, se dal Brasile, dal Venezuela o dal Senegal». Tutto questo troverete, ancora una volta, se ascolterete i nuovi brani.