Era il il 3 luglio 2009. Quattro giorni dopo l’incidente di Viareggio: un treno che diventa bomba e brucia la stazione, le strade, le case, le auto tutte intorno. 33 morti e 25 feriti. 11 sono morti immediatamente, gli altri si sono consumati per le ustioni nei mesi successivi.
«Uno spiacevolissimo episodio» lo definì l’allora amministratore delegato di RFI e Ferrovie. Lo disse quattro giorni dopo l’incidente, con l’odore di GPL bruciato che non si era ancora alzato dalle strade, audito al Senato per riferire sull’incidente: «“Vi prego di considerare che quest’anno, per la sicurezza abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa”, disse Mauro Moretti, come se i morti e il dolore possano essere un fastidioso intoppo nel raggiungimento degli obiettivi di bilancio.
Del resto 24 ore dopo l’incidente Moretti, arrivando in comune, annunciò tronfio che lui non c’entrava nulla e che la sua azienda non avrebbe sborsato un soldo. Ci sono uomini che sul cuore hanno il timbro delle matrici dei libretti degli assegni, si vede.
Un anno dopo il Presidente della Repubblica (il sempiterno Napolitano) decide di insignirlo con la medaglia di Cavaliere del Lavoro. Del resto la politica stravede per Moretti: nominato da Berlusconi, confermato da Letta e addirittura promosso a capo di Finmeccanica da Renzi che sul merito ha costruito una bella fetta della sua favoletta elettorale. Quando i magistrati chiesero per Moretti una condanna a 16 anni il ministro Delrio corse dai giornalisti a difenderlo come i fan con il loro cantante del cuore.
Ieri in primo grado Moretti è stato condannato a sette anni per disastro colposo, incendio colposo, omicidio plurimo colposo e lesioni gravissime. Lui dice che non ci pensa nemmeno a dimettersi. Figurati. Certo siamo solo al primo grado di una Giustizia che deve fare il suo corso. Ma la cautela è una virtù. E la sensibilità anche.
Buon mercoledì.