Arturo Scotto ritira la candidatura appena annunciata. Il congresso di Sinistra Italiana parte così con una mezza scissione, consumata - almeno formalmente - sulle regole. Facciamo un punto

La notizia di giornata è che Arturo Scotto, che giusto una settimana fa aveva annunciato di voler correre per la segreteria di Sinistra Italiana (che dal 17 febbraio terrà a Rimini il suo congresso fondativo) ha cambiato idea. Resta in Sinistra Italiana – per ora – di cui è d’altronde capogruppo alla Camera dei deputati, ma rinuncia a ogni carica. Come per la candidatura, anche il ritiro, preceduto da una serie di rapide indiscrezioni, è stato annunciato con un post sull’Huffington.

Lì, nero su bianco, Scotto mette in fila parole anche dure, parlando di «doppiezza» e di un congresso che disconosce «il principio sempre evocato di “una testa, un voto”». Ma cosa è successo?

In parte siamo davanti al solito scontro tra l’area di Sinistra italiana che da sempre immagina un dialogo col Pd e con la sinistra alla Pisapia (l’area di Scotto ma anche di Massimiliano Smeriglio e Marco Furfaro) e l’area di chi vuole un profilo da subito più autonomo (quella di Nicola Fratoianni, delfino di Vendola, favorito e a questo punto unico candidato per la segreteria, e di Stefano Fassina o Loredana De Petris, o del gruppo di Act). Ci sono però, adesso, questioni più concrete – o più terra-terra, se vogliamo.

La rottura, infatti, è avvenuta sulle regole del congresso. La polemica però non è tanto sulla (puntuale) esplosione delle tessere, passate in pochi giorni da 4mila a oltre 20mila. No. Il punto è sul come far partecipare queste migliaia di teste e quindi di voti, preziosi lì per gli uni e qui per gli altri, ma fondamentali per Scotto, a quanto pare, che, senza una larga partecipazione, teme di partecipare ad un congresso dall’esito già scritto.

Sulle regole, dunque, si consuma una rottura che nei prossimi giorni, salvo ricuciture dell’ultimo minuto, potrebbe persino allargarsi, portando – ma Scotto ha rassicurato su questo Vendola e Fratoianni – alla nascita di un diverso gruppo parlamentare: c’è chi vorrebbe. Sulle regole, dunque, almeno formalmente. Scotto chiedeva che i congressi provinciali, che anticipano quello di Rimini, si svolgessero dove necessario anche in sedi decentrate, non essendo previsto un voto online. «Le modalità di svolgimento delle assemblee territoriali è decisivo» scrive infatti nel post, «mentre la commissione congressuale, venendo meno alla sua stessa funzione di garanzia, ha deciso a maggioranza di non garantire a tutti il diritto di esprimersi».

In particolare, Scotto ha in mente il caso romano, con il congresso provinciale che si terrà questo week end al solito centro congresso Frentani, in pieno centro, a due passi dalla stazione dei treni, comodo ma non abbastanza, si teme, per i molti tesserati di Civitavecchia, città portuale a un’ora dalla Capitale dove Scotto è invece forte (o meglio, dove è forte il vicepresidente della regione Lazio Massimiliano Smeriglio). Voleva almeno due seggi, Scotto, citando il precedente di Firenze: «Mi domando», continua, «come si faccia a dire a un comune mortale di fare centinaia di chilometri per partecipare a un congresso, in un’area metropolitana di 4 milioni e mezzo di abitanti, una domenica mattina nell’arco di poche ore».

A Firenze i seggi sono in effetti otto, ma lì la richiesta di più sedi è arrivata all’unanimità, punto di caduta naturale di un percorso unitario che in Toscana è ben più avanzato. A Roma al contrario – storicamente balcanizzata – non c’era l’accordo. Almeno così spiegano i membri della commissione garanzia che, in una nota firmata di Francesco Campanella, Raffaella Casciello, Sergio Cofferati, Peppe De Cristofaro, Loredana De Petris, Claudio Grassi, Laura Lauri, Paola Natalicchio, Elisabetta Piccolotti, Claudio Riccio e dallo stesso Fratoianni, scrivono: «Stupiscono e dispiacciono le argomentazioni avanzate in queste ore da un compagno come Arturo Scotto che mettono in discussione la regolarità del prossimo congresso fondativo di Sinistra Italiana. La fase congressuale si è aperta nel pieno rispetto delle regole che tutti insieme ci siamo dati, approvandole all’unanimità».

Sulle regole, però, dunque. Sempre, però, almeno formalmente. Anche perché, per paradosso, il caos esplode proprio quando le posizione tra le due aree – i più dialoganti e i più identitari, potremmo dire, dando per buona quella che però è più che altro un autorappresentazione – si erano più avvicinate. È giusto di martedì, infatti, l’apertura di Vendola all’idea di un listone che raccolga ciò che nei prossimi mesi uscirà dal Pd e l’avventura dei comitati di Massimo D’Alema, con cui il leader di Sel e lo stesso Fratoianni hanno un dialogo aperto (con una riunione proprio stamattina di cui però non si dà notizia ufficiale). Si prepara il dialogo e persino un accordo elettorale, rifiutandosi però di «attendere» oltre, perché il quadro è comunque ancora molto confuso e – pensa Fratoianni – è bene intanto organizzarsi.

Visto da fuori – e a pensare un po’ male – il punto vero, dunque, è così la leadership, la possibilità di essere (gli uni o gli altri) quelli che al momento del bisogno (sempre che nel Pd ci sarà veramente una scissione o sempre che dalle parti di D’Alema esca qualcosa) gestirà i rapporti e le conseguenti trattative. Anche politiche, per carità, non banalizziamo pensando solo alle candidature, ma questo è: la gestione di un processo che è ancora perlopiù oscuro.

Sinistra Italiana però, rischia così di nascere zoppa. Con una vita più breve di quella che comunque potrebbe lasciar immaginare l’incognita delle elezioni e della legge elettorale, che potrebbe spingere a dover fare di meglio (e si può fare) sul fronte dell’unità. Non unendo solo ciò che resta di Sel e Fassina ma ritirando dentro D’Attorre (che da tempo sta a guardare), coinvolgendo Civati (che infatti ha proposto un appuntamento a marzo), vedendo cosa sarà dei bersaniani, e di tanti elettori in fuga da Renzi.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.