Si è dovuto scusare, il dispiaciutossimo Berdini, ma ora che è uscito l'audio la sua già timida smentita rischia di non bastare. Con la sindaca già in crisi il rapporto si è rotto

Anche quando sembrava finita, la giornata era in realtà ancora lunga. Perché l’audio di quello che per il cronista della Stampa era un colloquio e per Berdini, invece, solo una conversazione origliata, è stato diffuso dal giornale dopo che Virginia Raggi, apprezzandone «il capo cosparso di cenere», nel tardo pomeriggio aveva respinto con riserva le dimissioni dell’assessore all’Urbanistica, che dunque sarebbe restato in carica ma come osservato speciale. Scriviamo sarebbe, perché dopo la pubblicazione dell’audio, dopo che Virginia Raggi ha potuto sentire con le sue orecchie le parole di Berdini, la riserva sembra invece diventata solo una questione di tempo. Il tempo di trovare un valido sostituto.

Perché l’audio dà ragione al cronista, sì, che non ha quindi origliato e riportato come fosse un’intervista una conversazione tra Berdini e due amici, come ha detto invece l’assessore, nel tentativo di smorzare la polemica. Berdini e Federico Capurso hanno parlato e Berdini ha detto ciò che Capurso ha riportato sull’impreparazione di Virginia Raggi, sul rapporto tra la sindaca e Romeo, sulla pericolosità del “raggio magico”. Anzi. Raggiunto telefonicamente a L’Aria che tira, il cronista de La Stampa, ha spiegato di aver «anche alleggerito» alcune affermazioni: «non aveva parlato solo di “banda”» dice Capurso, «aveva detto “banda di assassini”…».

E quindi sembra così poco, di colpo, ciò che Berdini andava dicendo nel pomeriggio di mercoledì («Sono stato un cretino», dice a Left) e che aveva convinto Raggi a respingere con riserva le sue dimissioni. «Berdini si è scusato, si è presentato con la cenere in capo e i ceci sotto le ginocchia, era mortificato per ciò che ha detto, non voleva dire quelle parole e non le pensa». Così ha detto Virginia Raggi in un primo momento. Ma l’audio cambia le cose. Perché è vero che Berdini può sempre sostenere che non pensava di esser registrato, dire che mai avrebbe voluto render pubblico il suo sfogo, che aveva già fatto con altri giornalisti e conoscenti, ed è vero anche che le considerazione sulla “banda”, sullo strapotere di Marra e Romeo, «Berdini le ha sempre dette, persino in giunta» – come ricorda l’ex assessore ai Rifiuti Paola Muraro, intervistata dal Messaggero. Ma le parole involontariamente (o meglio con colpevole leggerezza) consegnate alla Stampa sono gravi, il giudizio inclemente, pesanti le allusioni alla vita privata e sentimentale della sindaca.

Non è un mistero ciò che Berdini pensi di Raggi e i suoi, ma sentire la viva voce fa un altro effetto, non è come leggere – come è successo finora – retroscena con anonimi “malumori in giunta”, che si sapeva benissimo da chi filtravano ma restavano appunto retroscena. Che calzavano a pennello a Berdini ma che restavano senza firma. Ora la firma c’è.
E con una trivialità che rende difficile a Raggi sopportare ancora Berdini, un assessore peraltro che già sembrava azzoppato. Anche perché coerente con un Movimento che forse, almeno a Roma, non esiste più.

Berdini, per dire, era stato scelto anche perché, da urbanista, era uno dei più fieri oppositori dello stadio della Roma (se costruito a Tor di Valle, e usato come pretesto per edificare praticamente un nuovo quartiere). Il Movimento, però, ha col tempo cambiato opinione. E se Berdini sarebbe pronto ora ad accontentarsi dell’idea di ottenere il taglio un po’ di cubature extra – se l’opera non si può più fermare – oggi la sua posizione è ulteriormente indebolita. Ora che si è messo sulla graticola ancora più forte è chi nel Movimento vuole invece far contenti Parnasi, Pallotta e soprattutto Francesco Totti, che certo ne approfitteranno e certo ringraziano per l’attenzione che la stampa sta dedicando da mesi all’assessore all’Urbanistica, dipinto come un trinarciuto nemico degli investimenti (“Senza Berdini lo stadio è più vicino”, titola oggi il Tempo). E restare in giunta così, in effetti – anche se le partite da gestire sono tante e diverse (ci sono gli sfratti, gli appalti o i piani di zona, per dire) – rischia di servire a poco.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.