Dopo il vertice europeo di Malta della settimana scorsa e, più in particolare, a partire dalle dichiarazioni di Angela Merkel, si è fatto un gran parlare di “Europa delle due velocità”.
Come hanno giustamente notato la maggior parte degli analisti politici, in realtà, non si è parlato di “due”, bensì di “diverse” velocità. Quest’ultimo concetto è stato poi tradotto in Italia, a sua volta, in “Europa dei centri concentrici” o delle “geometrie variabili”.
Eppure, quale che sia la definizione prediletta, poco importa: il concetto di un’Europa a geometrie variabili non è innovativo. Oggi, esiste infatti la così detta “cooperazione rafforzata”, una procedura di coordinamento fra Stati membri dell’Ue, regolata dai Trattati sul funzionamento dell’Unione europea.
Ci sono quindi due opzioni per leggere le affermazioni di Angela Merkel. O si è trattato di un invito a utilizzare più frequentemente la “cooperazione rafforzata”, oppure dietro alle parole del Cancelliere, si celano progetti più rilevanti di ristrutturazione dell’Ue.
La prima opzione sembra quella più credibile. Lo ha specificato Angela Merkel in persona da Varsavia, durante la conferenza stampa a seguito dell’incontro con il Primo ministro polacco, Beata Szydlo: «Già oggi viviamo una situazione in cui ci sono soltanto alcuni Stati membri che partecipano all’Unione monetaria. Allo stesso modo, non tutti aderiscono a Schengen. Ciò vuol dire che esistono già una varietà di conformazioni. E nei trattati è previsto il meccanismo della cooperazione rafforzata». Le parole del Cancelliere tedesco indicano quindi che in ballo c’è semplicemente l’utilizzo più frequente di strumenti già previsti.
Esiste poi la seconda opzione. Quella secondo cui, dietro alle parole di Merkel si celerebbe un progetto di un’integrazione rigida che rafforzerebbe in ogni caso gli interessi tedeschi a danno del resto dell’Europa. Ma è veramente così? Improbabile.
Un qualsiasi progetto di ampio respiro implicherebbe infatti la ristrutturazione e la modifica dei trattati: un’operazione difficile, per non dire impossibile considerati gli attuali rapporti di forza e, soprattutto, la stessa volontà del governo tedesco. Lo confermano sempre le parole utilizzata da Merkel nell’ottobre del 2016, in occasione della giornata dell’industria tedesca: «[Il Governo tedesco] non crede che in questo momento l’Europa abbia bisogno di una modifica comprensiva dei trattati o di un trasferimento di competenze».
Ma se non c’è un’ambizione di riforme profonde, perché Merkel ha lanciato un dibattito su un’ovvietà? Ovvero, sull’esistenza degli strumenti di cooperazione rafforzata e sul loro possibile utilizzo? Forse, per capirlo, bisogna tornare all’estate del 2015, quella delle negoziazioni sul terzo bailout greco.
Il 3 giugno 2015, Sigmar Gabriel ed Emmanuel Macron, al tempo rispettivamente Ministri dell’Economia di Germania e Francia, avevano co-firmato un editoriale dal titolo “L’Europa non può attendere: Francia e Germania devono fare uno scatto in avanti” (“Europe cannot wait any longer: France and Germany must drive ahead”, tdr.), pubblicato dal The Guardian e da altri quotidiani europei. L’articolo era un vero e proprio manifesto sintetico per un’Europa sociale ed economica. I punti chiave del testo? Un’Unione europea sociale con un sistema di coordinamento efficace dei sistemi di welfare nazionali (con un serpente di salari minimi per evitare la competizione sleale al ribasso), la costituzione di una capacità fiscale comune, riforme istituzionali e strutturali congiunte, meccanismi che prevedano la ristrutturazione ordinata di debiti pubblici senza incorrere in misure di risparmio eccessive.
Cosa vuol dire? In sintesi, ammesso che a Berlino e Parigi ci sia mai stata la volontà di procedere verso un’integrazione più profonda, questa aveva tratti solidali e di sinistra, non certo ordoliberali. Tant’è vero che, negli stessi giorni del 2015, era circolata la notizia riguardo alla presenza di un documento segreto, redatto da Merkel e Hollande, in cui si sostenevano posizioni ben più moderate rispetto all’editoriale di Macron e Gabriel.
In altre parole, con le sue dichiarazioni sulla “cooperazione rafforzata”, Angela Merkel ha voluto soprattutto negare il contrario di ciò che ha detto, ovvero che non ci sarà una riscrittura dei trattati guidata da Berlino e Parigi, per quanto la situazione europea possa diventare critica. E lo ha fatto in maniera elegante, senza nemmeno citare il punto nevralgico della questione. In un certo senso, Merkel ha fatto in modo che gli altri, parlando dei rischi legati all’ “Europa delle due velocità” – da lei stessa evocata – buttassero via il bambino insieme all’acqua sporca.
Resta poi da capire quanto sia attuale la riflessione di Gabriel e Macron. E’ difficile dirlo, considerato che il primo si è messo da parte nella corsa per il Cancellierato in Germania. Certo, non è un segreto che l’ex Segretario generale del partito socialdemocratico continui a pesare – e come – sulla Spd e sul pensiero ancora poco “strutturato” di Schulz. Dal canto suo, Macron è uno dei favoriti per la vittoria finale alle Presidenziali francesi di questa primavera.
Ed è qui, in effetti, che si arriva al secondo punto fondamentale – per altro non ancora sollevato nel dibattito – della questione: parlare di maggiore integrazione – che sia nella forma debole di una “cooperazione rafforzata”, o di una riformulazione più ampia – non ha senso prima di conoscere i risultati elettorali di Francia e Germania del 2017. Le Pen seppellirebbe entrambe le opzioni con una risata.
Questo Merkel lo sa. E proprio per questo motivo, viene da pensare che il suo messaggio fosse diretto soprattutto ai suoi alleati interni e agli elettori tedeschi. Con buona pace dei Primi ministri del Vecchio continente che credono ancora che questo governo tedesco possa risolvere i problemi dell’Europa.