Dopo la direzione del Pd, che ha dato il via al proprio congresso, sorge spontanea una domanda, da rivolgere a tutti coloro che si ritengono di sinistra in questo paese o almeno generalmente progressisti.

Davvero pensiamo che tutto questo serva a cambiare? Che a prescindere dal Congresso ci si possa davvero confrontare con ciò che è successo in questi ultimi anni, con il voto pressoché unanime di tutto il partito, senza alcuna discussione (non dico rivolta, dico discussione) nella base? Che si possa mediare ancora? Con chi? Con Minniti sull’immigrazione? Con Boschi sulle riforme? Con Renzi stesso sull’impianto generale? Con chi ha fatto politiche ambientali come quelle dello Sblocca Italia? Con chi pensa di rilanciare il ponte sullo Stretto? Non è un problema l'Alfano fuori da loro, il problema è l'Alfano dentro di loro. E le ricette della destra che hanno non solo introiettato ma trasformato nel loro manifesto politico. E culturale. Si può pensare di allearsi con chi ha negato l’emergenza povertà per anni? Con chi ha aumentato le disuguaglianze con bonus e mance? Con chi ha dato messaggi a dir poco contraddittori su qualsiasi argomento? Con chi ha nascosto i problemi delle banche per ragioni elettorali (e ragioni elettorali applicate alla Costituzione)? Davvero possiamo fare finta di niente? Aspettarci un confronto con chi è stato ministro e non si è differenziato nemmeno di una piega? Davvero pensiamo che esistano formule magiche per sistemare tutto quanto, dall’Ulivo «arbre magique» a Pisapia, che non ha mai avuto nulla da dire sulle politiche di questi anni, evocato come una «formula» nemmeno fosse un’abracadabra? Davvero pensiamo che si possa considerare trascurabile il voto del 4 dicembre e come si è votato il 4 dicembre? Se vogliono tutti «proseguire nelle riforme di questi tre anni», come hanno di fatto detto, riconosciuto o concesso tutti quanti, che cosa abbiamo da dire loro? E che senso ha? In Francia voteremmo due candidati diversi. Perché dovremmo votare lo stesso in Italia? Su. Proviamo a fare dell’altro e a fare di meglio.

L'autore è segretario di Possibile

Dopo la direzione del Pd, che ha dato il via al proprio congresso, sorge spontanea una domanda, da rivolgere a tutti coloro che si ritengono di sinistra in questo paese o almeno generalmente progressisti.

Davvero pensiamo che tutto questo serva a cambiare? Che a prescindere dal Congresso ci si possa davvero confrontare con ciò che è successo in questi ultimi anni, con il voto pressoché unanime di tutto il partito, senza alcuna discussione (non dico rivolta, dico discussione) nella base? Che si possa mediare ancora? Con chi? Con Minniti sull’immigrazione? Con Boschi sulle riforme? Con Renzi stesso sull’impianto generale? Con chi ha fatto politiche ambientali come quelle dello Sblocca Italia? Con chi pensa di rilanciare il ponte sullo Stretto?

Non è un problema l’Alfano fuori da loro, il problema è l’Alfano dentro di loro. E le ricette della destra che hanno non solo introiettato ma trasformato nel loro manifesto politico. E culturale.

Si può pensare di allearsi con chi ha negato l’emergenza povertà per anni? Con chi ha aumentato le disuguaglianze con bonus e mance? Con chi ha dato messaggi a dir poco contraddittori su qualsiasi argomento? Con chi ha nascosto i problemi delle banche per ragioni elettorali (e ragioni elettorali applicate alla Costituzione)?

Davvero possiamo fare finta di niente? Aspettarci un confronto con chi è stato ministro e non si è differenziato nemmeno di una piega? Davvero pensiamo che esistano formule magiche per sistemare tutto quanto, dall’Ulivo «arbre magique» a Pisapia, che non ha mai avuto nulla da dire sulle politiche di questi anni, evocato come una «formula» nemmeno fosse un’abracadabra? Davvero pensiamo che si possa considerare trascurabile il voto del 4 dicembre e come si è votato il 4 dicembre?

Se vogliono tutti «proseguire nelle riforme di questi tre anni», come hanno di fatto detto, riconosciuto o concesso tutti quanti, che cosa abbiamo da dire loro? E che senso ha?

In Francia voteremmo due candidati diversi. Perché dovremmo votare lo stesso in Italia? Su.

Proviamo a fare dell’altro e a fare di meglio.

L’autore è segretario di Possibile